20: Diana e Atteone

Titolo dell'opera: Storia di Diana e Atteone

Autore: Francesco Mazzola, detto il Parmigianino

Datazione: 1522-24

Collocazione: Fontanellato, Rocca Sanvitale, saletta di Diana e Atteone, parete Nord

Committenza: Gian Galeazzo Sanvitale (?) ePaola Gonzaga

Tipologia: dipinto

Tecnica: affresco

Soggetto principale: due cacciatori inseguono una ninfa

Soggetto secondario:

Personaggi: due uomini, fanciulla, cani

Attributi:

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini: http://www.comune.fontanellato.pr.it/turismo/parmigianino/lato_nord.htm

Bibliografia: Ghidiglia-Quintavalle A., Il “Boudoir” di Paola Gonzaga, signora di Fontanellato, in “Paragone”, 18, 1967, 209, pp. 3-17; Klossoski P., Il bagno di Diana, Ed. Franco Maria Ricci, Milano 1983; Fagiolo Dell’Arco M., Il Parmigianino. Un saggio sull’ermetismo del Cinquecento, Bulzoni, Roma 1970, pp. 35-41 e 253-256; Davitt Asmus U., Fontanellato II. La trasformazione dell’amante nell’amato. Parmigianino Fresken in der Rocca Sanvitale, in “Mitteilungen der kunsthistorisches Institut in Florenz”, 31, 1987, pp. 3-57; Cieri Via C., Vita e morte negli affreschi di Parmigianino a Fontanellato, in Problemi teorici e Proposte iconologiche. Il mito di Diana nella cultura umanistica, Il Bagatto, Roma 1991, pp. 77-80; Arasse D., Parmigianino au miroir d’Acteone, in Andromède ou le hèros à l’èpeuve de la beauté, Acte du colloque international, Musée du Louvre, Paris 1996, pp. 257-279; Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi, decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 200-201

Annotazioni redazionali: La sala al piano terra della Rocca dei Sanvitale (4,35 x 3,50 m; 3,90 m d’altezza) presenta un soffitto a volta costruito su quattordici lunette. Sulla volta troviamo un pergolato con dodici putti con ghirlande di frutta e fiori. Oltre il pergolato il cielo; al centro della volta uno specchio in una cornice lignea dorata con l'iscrizione "RESPICE FINEM". La struttura della volta si rifà all’idea del pergolato di Correggio nella Camera della badessa nel convento di S. Paolo a Parma: abbiamo dunque un termine ante quem per quanto riguarda l’esecuzione del ciclo, che è il 1524, anno della morte della badessa Giovanna, avvenuta poco prima che al convento fosse applicata la clausura, con la conseguente impossibilità di vedere la decorazione. Nelle lunette si svolge la favola di Diana e Atteone tratta dalle Metamorfosi di Ovidio (Libro III, vv. 138-253). Parmigianino colloca l’azione in un bosco nelle ore che vanno verso il crepuscolo; dunque l'ambientazione rispecchia fedelmente il luogo e l'ora del racconto ovidiano (Met., III, vv. 143-158). Tuttavia, l’artista inserisce una serie di varianti che trovano una spiegazione in rapporto alla committenza. La narrazione segue la sequenza dell’iscrizione che troviamo nel fregio, in cui si fa riferimento alla favola mitologica di Atteone: la lettura delle immagini procede dalla parete nord, con due cacciatori che inseguono una ninfa del seguito di Diana, e prosegue in senso orario nella parete adiacente dove Atteone s’imbatte in Diana che sta facendo il bagno, che per punirlo gli getta dell’acqua sul volto avviando la metamorfosi dello sfortunato cacciatore (Cfr. scheda opera 21); nella terza parete Atteone appare completamente trasformato in cervo e viene sbranato dai suoi cani (Cfr. scheda opera 22). Nella quarta parete troviamo una figura femminile (Cfr. scheda opera 23).

La decorazione ha inizio con un episodio non presente nel racconto ovidiano: due cacciatori in abiti classici inseguono una ninfa che si dirige verso un bosco. L’abbigliamento, il corno da caccia e il levriero tenuto al guinzaglio la caratterizzano come seguace di Diana cacciatrice. Questa figura è stata interpretata come possibile identificazione femminile di Atteone; d’altra parte, proprio sotto di essa nell'iscrizione compare l'accusativo alla greca di Atteone (ACTEONA) che dà un’impronta fonetica femminile al protagonista del racconto mitologico. Evidenziando l’identità della ninfa inseguita con la figura di Atteone davanti a Diana della parete successiva (Cfr. scheda opera 21), Ute Davitt Asmus (1987) interpreta tale scena come una “caccia d’amore” che porta alla trasformazione dell’amante nell’amato. La particolare trasformazione della ninfa in cervo è, secondo Claudia Cieri Via (1991), frutto di una contaminazione del racconto ovidiano con il testo del III secolo di Antonius Liberalis, Metamorphoseon Sinagogé, tramandato attraverso il codice Palatino 398, che risale ai secoli IX-X. In questo testo si narra di come Sipriote venga trasformato in donna per aver visto Artemide nuda al bagno; si tratta dello stesso schema dell’episodio di Atteone che comporta una punizione analoga, cioè la metamorfosi in uno stato inferiore (animale o femminile). In questo ciclo, attraverso la contaminazione dei due episodi, si vuole evidenziare nella scena dell’inseguimento della ninfa l’elemento dell’amore, estraneo al racconto ovidiano.

La maggior parte delle letture iconologiche della sala si basano sull’identificazione della figura femminile rappresentata sulla parete Ovest, Paola Gonzaga (Cfr. scheda opera 23). Nella porzione di volta inscritta tra le due lunette che mettono in scena la morte di Atteone sulla parete Sud (Cfr. scheda opera 22), compaiono due bimbi, uno dei quali sembra un neonato. Nell'Archivio di Stato di Parma è stato ritrovato dalla Davitt Asmus il documento di battesimo di un figlio di Galeazzo Sanvitale e Paola Gonzaga, datato 4 settembre 1523. Poiché del bambino battezzato non si ha più notizia nell'archivio familiare, si suppone che sia morto dopo poco oppure che il battesimo sia stato dato perché stava per morire; questa morte avrebbe avuto una influenza diretta sulla scelta del soggetto e sul significato degli affreschi. La studiosa identifica il figlio scomparso col bimbo più piccolo rappresentato sopra la lunetta della morte di Atteone; il bambino porta una collana di coralli e tiene in mano un ramo di ciliegie, entrambi simboli di morte precoce e ingiusta (e in questa funzione usati spesso nell’iconografia di Gesù bambino). La scelta del soggetto del ciclo, la morte ingiusta di Atteone, sembrerebbe quindi collegata con questo lutto familiare. A questo punto va letta la frase apposta nella cornice, una sorta di parafrasi del testo ovidiano, che sottolinea la riflessione sul tema della punizione ingiusta e dell'errore involontario.

"AD DIANAM / DIC DEA SI MISERUM SORS HUC ACTEONA DUXIT A TE CUR CANIBUS / TRADITUR ESCA SUIS / NON NISI MORTALES ALIQUO / PRO CRIMINE PENAS FERRE LICET: TALIS NEC DECET IRA / DEAS”

A Diana. Dì, o dea, perché, se è la sorte che ha condotto qui il misero Atteone, egli è dato da te in pasto ai suoi cani? Non per altro che per una colpa è lecito che i mortali subiscano una pena: un'ira tale non si addice alle dee

Alla luce di questo evento lo spruzzo d’acqua di Diana, raffigurato sulla parete Est (Cfr. scheda opera 21) assume il valore simbolico di un gesto battesimale, che preannuncia la morte del bambino come quella di Atteone; mentre Paola Gonzaga, nelle vesti di Cerere sta a significare la speranza di resurrezione, in rapporto alla ricerca della figlia Proserpina, rapita nell’Ade, che riuscirà a riportare sulla terra per metà dell’anno (Cfr. scheda opera 23). A questo punto si spiega anche la presenza dello specchio collocato all’apice della copertura della sala. Questo particolare aveva portato tanto la Quintavalle (1967) quanto Fagiolo Dell’Arco (1970) ad attribuire a questo luogo una funzione di stufetta, con delle implicazioni di carattere alchemico estranee alla figurazione. Allo specchio si può invece ricollegare il passo delle Metamorfosi in cui Atteone, a trasformazione avvenuta, “come si vide riflesse nell’onda le corna e la faccia, fu lì per dire Me infelice! ma punto non venne la voce. Gemito fu la sua voce, né il pianto gli scorse sul volto” (Met., III, 199-201). Il dramma di Atteone sta nella presa di coscienza della propria degradazione, cui fa seguito la scelta di morire restando a vagare tra i boschi, preda inevitabile dei suoi stessi cani. Intorno allo specchio l’iscrizione “RESPICE FINEM”, “guarda la fine”, assume il valore di monito a riflettere sulla sorte di Atteone e sul destino dell’uomo. 

Chiara Mataloni