Ocifc01

I sec. d.C.

PUBLIO OVIDIO NASONE, Metamorfosi, II, vv. 633-675

Testo tratto da: Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, traduzione a cura di Bernardini Marzolla P., Einaudi, Torino 1994

Ora il biforme Chirone era fiero di quel suo pupillo di stir­pe divina, ed era felice di quell'onere che era insieme un onore. Quand'ecco che, con le spalle coperte da un manto di capelli rossi, arriva la figlia: la figlia del centauro partorita un giorno dalla ninfa Cariclo sulla riva di un rapido fiume, e per questo chiamata Ocíroe. Costei non si era accontentata di apprendere le arti del padre: cantava anche i segreti del destino. Così, quan­do vide il fanciullo, invasa da furore profetico e infiammata dal dio che le si agitava rinchiuso nel petto, disse: «Cresci, fanciullo, apportatore di salute a tutto il mondo! Spesso i corpi dei mortali ti dovranno la vita. A te sarà permesso di rendere l'anima a chi l'ha perduta: ma quando avrai osato far­lo una volta, suscitando lo sdegno degli dèi, il fulmine di Giove tuo avo t'impedirà di farlo una seconda volta, e da dio che sei diverrai corpo esangue e da corpo tornerai ad esser dio, ripeten­do due volte il tuo destino! Anche tu, caro padre mio, che ora sei immortale e creato - così fu deciso quando nascesti - per so­pravvivere per tutti i secoli, un giorno desidererai di poter mo­rire, quando sarai tormentato dal veleno di un terribile serpen­te che ti si spanderà nelle membra attraverso una ferita, e gli dèi, da eterno che sei, ti renderanno soggetto alla morte, e le tre Parche taglieranno il filo della tua vita». Restava ancora qualcosa da predire. Ocíroe sospirò dal pro­fondo del petto, le spuntarono lacrime che scivolarono giù per le guance, e disse così: «Il destino mi colpisce prima che io fini­sca: mi si proibisce di dire di più, mi si preclude l’uso della vo­ce. A che pro' avere appreso quest'arte, se ora attira su di me l'ira della divinità? Meglio se non conoscevo il futuro. Già sento che l'aspetto umano mi viene sottratto, già mi piace cibarmi d'er­ba, già sento l'impulso di correre per i vasti campi: mi trasformo in cavalla, in un corpo come quello di mio padre. Ma perché tut­ta quanta? Mio padre è cavallo solo per metà!» Diceva queste cose, ma l'ultima parte della sua lamentela fu poco intelligibile: furono parole confuse. Presto non furono più nemmeno parole: non sembrava ancora la voce di una cavalla, ma di una che imita una cavalla. E di lì a poco mandò nitriti veri e propri e cominciò a muovere le braccia sull'erba, e allora le dita si fusero e un leggero zoccolo, una fascia cornea, legò le cin­que unghie, la faccia e il collo crebbero in lunghezza, buona par­te del lungo abito divenne coda, e i capelli, che le stavano sciolti sulle spalle, si tramutarono in una criniera. fluente sulla destra. La voce e l'aspetto cambiarono insieme; e dopo quel prodigio acquistò anche un nuovo nome.