87: Giove e Europa

Titolo: Ratto di Europa

Autore: Francesco Albani (1578-1660)

Datazione: 1639

Collocazione: Firenze, Uffizi, corridoio Vasariano

Committenza: Conte Angelo Oddi di Perugia

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (76,3 x 97 cm)

Soggetto principale: rapimento di Europa da parte di Giove mutato in toro

Soggetto secondario: le fanciulle di Tiro assistono al rapimento disperate assieme a Mercurio e gli amorini

Personaggi: Giove (sotto forma di toro), Europa, Mercurio, amorini, fanciulle

Attributi: Aquila, toro (Giove); toro (Europa); petaso, caduceo (Mercurio)

Immagini:

Precedenti:

Derivazioni:

Bibliografia: Caneva C., Bert L. (a cura di), Gli Uffizi: catalogo generale, Centro Di, Firenze 1979, p. 115; Gregori M. (a cura di), Uffizi e Pitti: i dipinti delle gallerie fiorentine, Magnus, Udine 1994, p. 353; Cieri Via C., Immagini degli dei: mitologia e collezionismo tra '500 e '600, Catalogo della Mostra (Lecce 1996-1997), Leonardo Arte, Milano 1996, p. 214; Puglisi C.R., Francesco Albani, Yale University, New Haven, London 1999, pp. 170-173; Caneva C., Il corridoio vasariano agli Uffizi, Silvana, Cinisello Balsano 2002, p. 114; Biette M., Europa negli affetti: il caso dei secentisti emiliani, in Il Mito di Europa: da fanciulla rapita a continente, a cura di Acidini Luchinat C., Catalogo della Mostra (Firenze 2002-2003), Giunti, Firenze 2002, pp. 98-99, 256-257

Annotazioni Redazionali: Si tratta di una delle numerose versioni del Ratto di Europa realizzate dall’Albani a partire dal 1612, data alla quale risale la prima versione nella collezione romana del marchese Patrizio Patrizi (Acidini Luchinat, 2002, p. 99); oltre alla presente conservata agli Uffizi, ricordiamo le versioni del Louvre e della galleria Colonna a Roma (Acidini Luchinat, 2002, p. 257). L'opera entrò nelle collezioni Medicee intorno al 1639-40, quando fu acquistata dal marchese Ferdinando Cospi per conto del granduca Ferdinando De’ Medici. L'esecuzione risale in realtà a molti anni prima, quando fu commissionata dal conte Angelo Oddi di Perugia, ma rimase nella bottega dell’artista per lungo tempo in attesa di un proprietario. La fonte per l’iconografia adottata dall’artista va ricercata nei versi del poeta latino Ovidio, in particolare nelle Metamorfosi (Eurfc07) e nei Fasti (Eurfc08), conosciuti dall’Albani nella traduzione di Annibal Caro (Cieri Via, 1996, p. 214). Il dipinto raffigura il rapimento di Europa da parte di Giove che, infatuatosi di Europa, si tramuta in toro per conquistarla. Alla scena assiste Mercurio che nel testo ovidiano è complice di Giove; questi ordinò al messaggero divino di spingere l'armento di buoi che stava pascolando sulla montagna verso la spiaggia dove si trovavano le fanciulle. Il pittore oltre ad aver seguito attentamente i testi di Ovidio, tanto nella descrizione del toro (Metamorfosi), quanto per quella di Europa (Fasti), si presume abbia fatto riferimento anche alla fonte di Achille Tazio, per quanto riguarda ulteriori dettagli della composizione e della descrizione della fanciulla (Gli amori di Leucippe e Clitofonte - (Eurfc13). Come possiamo vedere, Europa seduta sul dorso del toro, piena di spavento si volge a guardare la riva ormai lontana, appare scoperta a causa del vento, raffigurato in alto a destra, forse Zefiro, che soffia sul gruppo facendo svolazzare le vesti e il mantello: secondo Luciano infatti Zefiro assiste al rapimento (Eurfc13). Importante è notare la posa della fanciulla che coincide perfettamente con la descrizione di Achille Tazio, il quale scrive: ”la fanciulla sedeva in mezzo al dorso del toro, non a cavalcioni, ma su fianco, i piedi riuniti verso destra, tenendosi afferrata con la sinistra a un corno, come un auriga alle briglie”, e poi ancora dice “ella sedeva sul toro come una nave in cammino, servendosi del peplo come vela”, peplo di cui AchilleTazio specifica anche il colore purpureo. Al rapimento partecipano festosi amorini, due sono intenti a sorreggere il mantello che si gonfia; uno è visto di spalle mentre colpisce con la propria freccia l'animale sul posteriore; altri due, invece, portano in mano una freccia e una fiaccola accesa. L’amorino che trascina il toro con una ghirlanda di fiori potrebbe essere identificato con il piccolo Eros, citato da Achille Tazio (Eurfc14): “A tirare il toro era Eros: Eros, un piccolo fanciullino, teneva dispiegate le ali, la faretra appesa, la fiaccola in mano; volgeva lo sguardo in direzione di Zeus ed accennava un sorriso, come se volesse prenderlo in giro, perché per opera sua era diventato toro”. Nonostante le numerose coincidenze tra testo e immagine, è bene sottolineare che non siamo certi che l'Albani possa aver consultato il testo di Achille Tazio. A tal proposito, Claudia Cieri Via (1996) sostiene che la presenza dei numerosi eroti all’interno della composizione sia l’unica innovazione dell'Albani rispetto ai testi di Ovidio e all'ormai consolidata tradizione iconografica del mito di Europa. Inserire gli amorini in contesti non tradizionali, doveva servire semplicemente a ingentilire la natura e renderla atta a ospitare idilli d'amore in un'atmosfera fiabesca. Per concludere, l'aquila che svolazza dinnanzi al gruppo non può che alludere a Giove stesso. 

Signorello Valentina