Eurfr04

1553

LODOVICO DOLCE, Le Transformationi, In Venetia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, Canto Quinto, pp. 56-57

 

Poi, che diede a costei la pena, quale

Si conveniva a Donna empia e crudele,

Quel torna al ciel; ma non vi ferma l’ale,

Che Giove pieno d’amoroso fele,

Senza narrar la causa del suo male,

Gli dice, Figlio mio buono e fedele,

Hor bisogna, che nuova cura prendi:

Onde a quel, che dirò, l’orecchio intendi.

 

Cala in Fenicia al tuo natio terreno

Là sopra a Monti: e questo è il mio talento;

Ch’ove vedrai nel verde sito ameno

Del Re gir pascolando il grasso Armento,

Tu, presto come folgore e baleno,

Lo cacci al lito, u scherza l’aura e’l vento.

Gia vola, gia in Fenicia è il Messo fido;

E gia il Reale Armento è sopra il lido.

 

Quivi fra molte giovani e donzelle

La figliuola del Re stava a diletto;

Che bella potee dirsi oltra le belle

Di persona cosi, come d’aspetto.

Ne tal dipinse mai Zeusi, od Apelle,

Titian, ne Pittor altro perfetto:

Ne degna d’aguagliare a questa parmi,

Opra d’antichi, o di moderni marmi.

 

Non convengono ben, ne stanno insieme

Amore e Maestà. Giove, che serba

Le saetta, ch’ogn’un paventa e teme,

E scuote la Gran Macchina superba:

Giove Re de gl’Iddij, che calca e preme

Co’ piè le Stelle; hor umile ne l’herba,

Lasciando a dietro i seggi almi e lucenti,

Mugghia novello Bue fra rozi Armenti.

 

Bianca ha la pelle, come neve pura,

Neve da piede human non toccata ancora;

Ne bagnata da huomor di nube oscura,

Ch’Austro risolve a l’apparir di Flora.

Non parevan di man de la Natura

Fatte le belle corna; e a pena fuora

Spuntavan de la fronte; e in mezo a loro

Assai spatio lasciando, assembran d’oro.

 

Overo e Oriental Gemma lucente

L’uno e l’altro di lor pugna e contende.

Ha l’occhio chiaro; e non, ch’altrui spavente,

Ma di mirarlo ogn’un diletto prende.

Polputo e largo è il collo, e parimente

Ampia gozzaglia a meza gamba scende.

In fin di lui piu bello, o me’ formato

Toro non hebbe mai campagna, o prato.

 

La bella Donna stupida il vagheggia,

E con non poco suo piacer lo mira;

E, benche queto e mansueto il veggia,

Toccar non l’osa, e in dietro si ritira.

Esso, che gli s’accosti par che chieggia,

E da be gliocchi suoi l’occhio non gira.

Ma contempla il suo bel lucido aspetto,

Quasi dicesse, Questo è il mio diletto.

 

In fine Europa assicurata prende

(Ch’Europa ha nome) alquanti vaghi fiori:

Gli porge a lui, che volentier l’attende,

E par, che con piacer gli fiuti e odori:

Poi per le bianche man la lingua stende,

Le bascia: e ben vo creder, che gliamori

Drizzar nel Toro alhor mille saette,

E levò tal, che poi basso non stette.

 

L’astuto Toro in tutti i gesti humano

Scherza con la Donzella: hor corre e salta:

Hor pone il fianco nel vezzoso piano,

Ove la terra piu l’herbetta smalta:

Hor invita a palpar la bella mano

Il petto suo, ch’Amor crudele assalta:

Hor le inchina la testa, e le sue corna

Ella di nove ghirlandette adorna.

 

Che piu? la bella Verginetta ascese

(Che non sapea, che bestia fosse questa)

Semplice il Toro, che non gliel contese,

Ma ripien d’allegrezza alza la testa.

Alhor verso del mar la strada prese,

Tra se facendo una incredibil festa.

Va passo passo per l’asciutte sponde;

Poi con la bella preda entra ne l’onde.

 

In fin, che’n picciol acqua caminare

Europa il vide; il cor tema non mosse:

Ma poi, ch’ella portar si vide in mare,

Si tenne morta; e tutta spaventosse.

Et ha le luci lacrimose e rosse.

Vna man tiene al corno, altra a la schiena:

Gonfia il vento la gonna, e in dietro mena.

 

Ne si veloce via per l’aria Augello,

Come il Toro Divin per l’onde porta

Il caro peso, e’l precioso e bello

Thesoro, ond’egli solo è ladro e scorta,

Ove nudrito fu, nel fin l’apporta.

Quivi, lasciando le ferigne spoglie,

Fe si, che s’acchetar tutte sue doglie.