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23 a.C.

ORAZIO, Odi, III, 27, vv. 25-76

Traduzione tratta da: http://www.latinovivo.com/

 

Sic et Europe niueum doloso                     25

credidit tauro latus et scatentem

beluis pontum mediasque fraudes

     palluit audax.

Nuper in pratis studiosa florum et

debitae Nymphis opifex coronae                30

nocte sublustri nihil astra praeter

     uidit et undas.

Quae simul centum tetigit potentem

oppidis Creten: 'Pater, o relictum

filiae nomen pietasque' dixit                      35

     'uicta furore!

Vnde quo ueni? Leuis una mors est

uirginum culpae. Vigilansne ploro

turpe commissum an uitiis carentem

     ludit imago                                           40

uana quae porta fugiens eburna

somnium ducit? Meliusne fluctus

ire per longos fuit an recentis

     carpere flores?

Si quis infamen mihi nunc iuuencum            45

dedat iratae, lacerare ferro et

frangere enitar modo multum amati

     cornua monstri.

Impudens liqui patrios Penates,

impudens Orcum moror. O deorum               50

si quis haec audis, utinam inter errem

     nuda leones.

Antequam turpis macies decentis

occupet malas teneraeque sucus

defluat praedae, speciosa quaero                  55

     pascere tigris. 

Vilis Europe, pater urget absens:

quid mori cessas? Potes hac ab orno

pendulum zona bene te secuta

     laedere collum.                                        60

Siue te rupes et acuta leto

saxa delectant, age te procellae

crede ueloci, nisi erile mauis

     carpere pensum

regius sanguis dominaeque tradi                     65

barbarae paelex.' Aderat querenti

perfidum ridens Venus et remisso

     filius arcu.

Mox, ubi lusit satis: 'Abstineto'

dixit 'irarum calidaeque rixae,                         70

cum tibi inuisus laceranda reddet

     cornua taurus.

Vxor inuicti Iouis esse nescis.

Mitte singultus, bene ferre magnam

disce fortunam; tua sectus orbis                     75

     nomina ducet'.

 

 

XXVII, Il mito di Europa per Galatea      

(…)     

Cosí temeraria Europa abbandonò il fianco

niveo al toro ingannatore e si fece pallida

al brulicare di mostri e a tutti i pericoli

che sono in mezzo al mare.

Mentre prima era intenta a cogliere nei prati

i fiori, che intrecciava per le ninfe in serti,

ora nel velo della notte non vedeva

altro che stelle e flutti.

Quando infine toccò Creta, forte di cento

città: 'Padre, padre mio', disse, 'ora che piú

non merito, travolta dalla mia follia,

pietà e il nome di figlia,

dove mai mi trovo? Lieve è una sola morte

per la colpa d'una vergine. Piango insonne

la mia vergogna o di me, pura d'ogni macchia,

si prende gioco un'ombra

vana che, fuggendo dalla porta d'avorio,

mi crea un sogno? Solcare la vastità

del mare o cogliere fiori appena sbocciati:

per me cos'era meglio?

Se mai in mano alla mia ira fosse dato

quel toro infame, che tanto ho amato, col ferro

lo dilanierei e tenterei di spezzare

le sue corna mostruose.

Senza pudore ho abbandonato i miei Penati,

senza pudore faccio attendere la morte.

Se qualche dio m'ascolta, mi faccia vagare

nuda in mezzo ai leoni.

Prima che le mie guance perfette si guastino

per inedia e si perda di questo mio frutto

il succo, voglio che le tigri mi divorino

bella come qui sono'.

E di lontano il padre incalza: 'Vile Europa,

perché non t'uccidi? Impiccandoti a quest'orno

con la cintura, che a proposito hai con te,

puoi spezzare il tuo collo.

O se per morte preferisci scogli aguzzi

e rupi, coraggio, abbandonati alla furia

della tempesta: non vorrai filare lana

per chi gode di te

e cadere in mano a una padrona straniera,

tu che da un re sei nata'.

Presente ai lamenti

era Venere, che sogghignava, e con l'arco

allentato suo figlio.

Poi, durato a sufficienza il gioco, le disse:

'Frena l'ira, frena la foga di battaglie,

quando il toro del tuo odio ti porgerà

le corna da spezzare:

dell'invincibile Giove tu sei la sposa.

Smetti di singhiozzare e impara a sostenere

il tuo grande destino: una parte del mondo

da te prenderà nome'.