17: Callisto

Titolo dell'opera: Giove e Callisto

Autore: Giovanni Battista de Arcangelis

Datazione: 1550 ca.

Collocazione: Palazzo Spada Capodiferro, porta di ingresso alla sala di Callisto

Committenza: cardinale Girolamo Capodiferro

Tipologia: dipinto murale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Giove, osservando Callisto addormentata, se ne invaghisce

Soggetto secondario: Giove seduce Callisto sotto le spoglie di Diana

Personaggi: Callisto, Giove

Attributi: faretra, frecce (Callisto)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Cioffetta S.- Vicini M. L., Di alcuni teli ovidiani nel piano nobile del palazzo Capodiferro: iconografia e significato, in “Bollettino d’Arte”, 70, 1991, pp. 05-119; Cannatà R. (a cura di), Palazzo Spada. Arte e Storia, Bonsignori, Roma 1992; Cieri Via C., L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 290-291

Annotazioni redazionali: La decorazione dell’appartamento del cardinale Girolamo Capodiferro fu terminata intorno al 1550 e comprendeva figurazioni storiche, epiche, allegoriche e mitologiche. Tra queste ultime si inserisce la sala dedicata al mito di Callisto, rappresentato in otto scene.  La prima, con Giove e la ninfa, si trova di fronte alla porta d’ingresso. In essa sono raffigurati due momenti del mito: il primo in cui Giove, ancora con le proprie sembianze, scorge Callisto addormentata e se ne invaghisce, ed il secondo in cui seduce la ninfa sotto le spoglie di Diana. Il mito è stato interpretato (Neppi, 1979) in senso neoplatonico come il cammino dell’animo che si abbandona all’amore di Dio. In realtà la decorazione segue fedelmente l’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar di Niccolò degli Agostini (Calfr02), pubblicato per la prima volta nel 1522 e portatore di una singolare e peculiare interpretazione. Il testo, infatti, è una traduzione in ottava rima del volgarizzamento di Bonsignori che si rifà a sua volta a Giovanni del Virgilio; da entrambi mutua il concetto di mutatio moralis secondo il quale la trasformazione ferina esprime simbolicamente il cedere al vizio. Il rifarsi ad una moralizzazione del mito tradisce, da parte del cardinale Capodiferro, “una professione di fede molto più ortodossa e soprattutto condizionata dal tempo e dal clima culturale romano” (Cioffetta-Vicini, 1991). Il palazzo è infatti espressione  di chiara concezione ideologica, propria della committenza di Paolo III Farnese e condivisa dal Capodiferro, che, pur non ripudiando ancora la tematica mitologica così come invece avverrà in clima controriformistico, vuole modificarne dall’interno la valenza ed il significato. Per questo motivo sono presenti alcuni particolari iconografici insoliti ed estranei alla fonte propriamente ovidiana, come il fatto che Callisto non dorma sulla propria faretra (Met. II, 420-421), ma ponga questa e l’arco a terra. Inoltre la ninfa, nella scena sulla destra, appare consapevole dell’abbraccio di Giove e tenta di prendere una freccia dalla faretra sulle spalle del dio. Tale freccia, simbolo tradizionale d’amore, ha qui una connotazione di ambigua pericolosità in sintonia con la volontà espressa dal testo dell’Agostini di mostrare la ninfa colpevole.

Silvia Trisciuzzi