09: Callisto

Titolo dell’opera: Storia di Callisto (o Trasformazione di Siringa)

Autore: Dosso Dossi con la collaborazione di Battista Dossi

Datazione: 1529-1530 ca.

Collocazione: Roma, Galleria Borghese

Committenza:

Tipologia: dipinto 

Tecnica: olio su tela(134 x 163,5 cm)

Soggetto principale: svelamento di Callisto

Soggetto secondario:

Personaggi: Diana, Callisto, vecchia

Attributi: velo, ventre rigonfio (Callisto)

Contesto: paesaggio boschivo

Precedenti:

Derivazioni:

Immagine: www.sapere.it

Bibliografia: Suida E.W., Lucrezia Borgia: In memoriam,in “Gazette des beaux-arts”, 6, 35, aprile 1949, p. 284; Mezzetti A., Il Dosso e Battista ferraresi, Cassa di risparmio di Ferrara, Ferrara 1965; Puppi L., Dosso Dossi, Fabbri, Milano 1965; Berenson B., Italian Pictures of the Renaissance: A List of the Principal Artists and Their Works with an Index of Plates Central Italian and North Italian Schools, Phaidon, London 1968, pp. 113-15; Gibbons F.,  Dosso and Battista Dossi: Court Painters at Ferrara, Princeton University Press, Princeton 1968, pp. 89-92, 132, 247; Calvesi M., Recensione a Gibbons 1968, in “Storia dell’Arte”, 1-2, gennaio-giugno 1969, pp. 168-174;  Del Bravo C., L’Equicola e il Dosso, in “Artibus ed Historiae”, 30, 1994, pp. 71-82; Coliva A., Galleria Borghese, Luce per l’Arte, Roma 1994, pp. 116-119; Ballarin A., Dosso Dossi: la pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, Bertoncello artigrafiche, Cittadella 1994-95, p. 349, ill. 774-781 e 783; Humfrey P.-Lucco M., Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, Ferrara Arte, Ferrara 1998, pp. 76-77, 203-212; Ciammitti L., Dosso as a Storyteller: Reflections on His Mythological Paintings, in Dosso's Fate: Painting and Court Culture in Renaissance Italy, a cura di Ciammitti L., Ostrow S.F., Settis S., Getty Research Institute for the History of Art and the Humanities, Los Angeles 1998; Ballarin A.-Romani V., Dosso Dossi e le favole antiche: Il risveglio di Venere, Bertoncello, Cittadella 1999, p. 58; Della Pergola P. La Galleria Borghese, i dipinti, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1995, p. 31; Guidoni E., Ricerche su Giorgione e sulla pittura del Rinascimento, Edizioni Cappa, Roma 2000, pp. 89-91.

Annotazioni redazionali: In questa, come in tutte le opere di Dosso Dossi della Galleria Borghese, non è stato rintracciato uno schema disegnativo né attraverso le foto ai raggi infrarossi né attraverso le riflettografie. Al contrario le radiografie hanno dato una risposta molto complessa: le reazioni di opacità hanno rivelato che la figura della vecchia a destra che sostiene Callisto (?) è stata aggiunta a dipinto finito sopra lo sfondo arboreo e a sua volta è stata modificata rispetto alla sua posizione originaria, più arretrata e con una maggiore torsione del busto. Diana era più sviluppata in altezza e nel panneggio a destra, aveva dunque una più accentuata imponenza rispetto alle altre figure con un amplificato rigonfiamento del manto. Il paesaggio alle sue spalle era più aperto, si intravedeva un ampio brano di cielo in cui spiccava, in riferimento iconografico con la figura sottostante, uno specchio di luna. Nella parte sinistra del quadro, ora occupata completamente dal paesaggio, era stata dipinta in origine un’altra figura, anche questa portata ad un avanzato grado di esecuzione e rappresentante chiaramente un personaggio femminile che arriva correndo, abbigliata con una lunga veste e una fascia alla vita. Troviamo dunque un’originaria idea compositiva destinata ad essere completamente modificata, lasciando però inalterato il numero dei personaggi che sembrano mantenere anche le stesse funzioni ai fini della narrazione: sia la figura cancellata sulla sinistra, infatti, sia la vecchia che fu inserita a sostituirla sembrano svolgere nei confronti della dormiente lo stesso ruolo di sollecita protezione, l’una cingendole il corpo; l’altra, della prima versione, accorrendo in suo soccorso quasi a sottrarla alla condanna di Diana. Il soggetto del dipinto non appare pienamente convincente nel tema, storicamente consolidato, di Diana e Callisto, ma neppure in quello altre volte proposto della Trasformazione  di Siringa (Cfr. scheda opera relativa). L’aderenza tematica non migliora neppure considerando la notevole variante iconografica che avrebbe comportato la versione poi mutata: nel malinconico notturno, nell’ abbandono esausto della ninfa, che sembra stia per dissolversi estenuata, protetta solo da una pietosa ancella. Anche in questo caso il cambiamento sembra finalizzato all’equilibrio compositivo, che appare così meno scontato con il dinamico impennarsi del movimento sulla destra, dove sono concentrate le figure che salgono con l’andamento di un’onda in ascesa culminante nel gesto del dito di Diana: fa loro da contrappeso, sulla sinistra, la profondità senza fine del paesaggio illuminato in pieno dalla luce della luna, ora non più visibile, ma evocata dal chiarore tra le nuvole. La presenza della quarta figura sulla sinistra, poi eliminata, avvicinerebbe ancor più questa composizione a quella con l’ Allegoria di Pan del Getty Museum, a Los Angeles; oltre alla completa coincidenza della ninfa sdraiata  e della vecchia che la protegge, anche la giovane, che in entrambi i dipinti sarebbe stata in movimento e con una acconciatura a capelli scoperti, avrebbe evocato formalmente il quadro statunitense e quindi sarebbe una opera di identica datazione. Nell’inventario Borghese del 1693 viene definito come “un quadro grande in tela con Boschi e Paesini con Tre Donne et una di dette donne in terra con una corona di laoro in testa”. Nell’inventario del 1790 è chiamata “la Ninfa Callisto seguace di Diana” e con quel nome ha attraversato tutto l’800, fino a che la Mendelsohn (1914) sulla base di un suggerimento orale di Richard Föster ha suggerito che si trattasse di una raffigurazione del mito di Pandora. L’unica compiuta analisi del dipinto è stata condotta da Gibbons (1968) il quale ha proposto che si tratti di una raffigurazione della Trasformazione di Siringa in canne per sfuggire al dio Pan. La ninfa, nuda e addormentata, si troverebbe infatti sulle rive sabbiose del fiume Ladone dove aveva invocato la trasformazione, secondo il mito narrato da Ovidio; la vecchia, vicino a lei, in gesto protettivo, sarebbe la Terra; la donna in piedi, pronta ad aprire il vaso con le pozioni atte alla trasformazione, sarebbe allora Diana. Questa interpretazione era nata dalla convinzione di un profondissimo legame col dipinto Allegoria di Pan del Getty Museum, tanto stretto da far passare sopra anche all’assenza, nel quadro, dell’attore principale Pan. Tale mancanza sarebbe rientrata, secondo lo studioso, nella comune bizzarria dell’iconografia ferrarese in cui la norma è il rifiuto della norma stessa. Ma a differenza del quadro Getty vi sono qui elementi nuovi e diversi, come le tre corone d’alloro, una indossata dalla giovane nuda e due a terra, che potrebbero semmai indirizzare al dio cui quella pianta era sacra, Apollo. Né si vede come questo dipinto potrebbe avere relazione con la tematica della nascita della musica, dallo studioso americano associata al quadro Getty. Non sembra neanche convincente la proposta di Del Bravo (1994) che riconoscerebbe nella giovane nuda la Natura, nella vecchia la Filosofia e nella donna in piedi la Virtù, la quale innalzerebbe tramite la filosofia la natura dell’uomo, se questi ne ha la capacità. Non abbiamo dunque alcuna fondata proposta sul soggetto di questo dipinto, che continua a portare quasi come equivalenti i due titoli di Storia di Callisto e di Trasformazione di Siringa. Per quanto riguarda l’esecuzione dell’opera le opinioni degli studiosi sono discordanti, infatti mentre alcuni ritengono ci sia stata una collaborazione tra i due fratelli, Battista e Dosso, (Mendelsohn 1914, Mezzetti 1965, Gibbons 1968, Longhi 1940; altri sono a favore di una totale autografia del Dosso (Lionello Venturi 1909, Cantalamessa 1922-23, Adolfo Venturi 1928, Buscaroali 1935, De Rinaldis 1948, Suida 1949, Della Pergola 1955, 1964, Puppi 1965, Ballarin 1994-95 e Coliva 1994. In realtà, se non può esservi dubbio che la bella invenzione sia interamente dossesca, organizzata com’è per contrapposizione di una metà chiara (il paese, il cielo, la città lontana) e di una metà scura (gli alberi a destra), vi è un margine per pensare che Battista sia intervenuto nell’esecuzione degli edifici e nelle fronde piumose degli alberi sulla sinistra; mentre l’esecuzione della frasca nel gruppo di grandi alberi a destra, di qualità altissima, si ritengono eseguite da Dosso in un primo rifacimento fra il 1514 e il 1519 e rimaneggiate poi da Tiziano nel suo soggiorno ferrarese del 1529. Risale al Puppi (1965) l’idea che la struttura irrobustita e lucente della figura in piedi o la profonda segnatura di rughe sul volto della vecchia rimandino all’affermazione della “maniera moderna” nel Nord Italia, nella variante importata a Mantova da Giulio Romano, con la conseguenza che il dipinto, di solito ritenuto abbastanza giovanile, o databile tra il Venti e il Trenta, doveva venire spostato dopo il 1524, e il più possibile a ridosso del 1530, ma non nei tardi anni Trenta.

Anna Cola