68: Prometeo

Titolo dell'opera: Prometeo

Autore: collaboratore di Peter Paul Rubens

Datazione: 1636-38

Collocazione: Madrid, Prado

Committenza: Cardinale Infante Ferdinando, fratello di Filippo IV

Tipologia: dipinto

Tecnica:  olio su tela

Soggetto principale: Prometeo ruba il fuoco celeste

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo

Attributi: torcia accesa, barba (Prometeo)

Contesto:  

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Stepanow G., Rubens, Silvana Editoriale, Milano 1957; Alpers S., The decoration of the Torre della Parada, IX, Arcade Press, Bruxelles 1971, pp. 255-56; Jaffé M., Rubens, catalogo completo, Rizzoli, Milano 1989, p. 363; Davidson Reid, 1993, p. 927; Díaz Padrón M., El Siglo de Rubens en el Museo del Prado, 2 voll., Editorial Prensa Ibérica, Barcelona 1995, p. 1034.

Annotazioni redazionali: Il dipinto di Rubens si inserisce in una commissione molto più ampia di Filippo IV per la Torre de la Parada, padiglione di caccia vicino Madrid, presumibilmente realizzata da Juan Gomez de Mora, al quale si deve anche il contemporaneo progetto di un altro padiglione di caccia nel Pardo, la Zarzuela. Il ciclo pittorico interno, commissionato a Rubens, fu realizzato tra il 1636 ed il 1638, come si evince dai riscontri documentari. La Alpers (1971) ricorda due lettere del committente Cardinal Infante Ferdinando, a Filippo IV, una prima del 20 novembre ed un’altra del 6 dicembre 1636, nelle quali si dice che Rubens ha già ricevuto l’ordine e diviso il lavoro tra i suoi migliori collaboratori, ma che realizzerà lui stesso i bozzetti ad olio. Inoltre la studiosa ricostruisce la storia dei pagamenti fino alla notizia della partenza delle opere da Anversa l’11 marzo 1638 e il conseguente arrivo a Madrid il primo maggio dello stesso anno. Purtroppo gran parte delle tele andarono perdute nel corso del ‘700 a causa, dapprima dei saccheggi delle truppe del granduca Carlo durante la Guerra di Successione spagnola (1710), ed in seguito di un incendio nel castello reale del Buen Retiro presso Madrid (1734). Fortunatamente però sono sopravvissuti i bozzetti di mano di Rubens. Il dipinto in questione, assegnato nel catalogo del museo del Prado a Cossiers, attribuzione però non riconosciuta dalla Alpers (1971) e da Jaffé (1989) che parla di un aiuto anonimo di Rubens, rappresenta il furto del fuoco da parte di Prometeo, momento molto antico del mito, ma scarsamente rappresentato in epoca classica. Il Titano occupa l’intero spazio della tela, è barbuto e con una ricca capigliatura scura, coperto da un drappo rosso; nella mano destra stringe una fiaccola accesa con il fuoco appena rubato dall’Olimpo, come denuncia anche lo sguardo pensieroso e quasi torvo del Titano, rivolto verso la luce che filtra dalle nubi in alto a sinistra, chiara allusione a Giove e alla sua ira. La Alpers (1971) sostiene che la fonte del dipinto sia da individuare nella Teogonia di Esiodo (Promfc02) in cui si ricorda il nascondimento della scintilla del fuoco all’interno di una ferula cava. In realtà anche Eschilo (Promfc04) cita lo stesso espediente da parte del Titano e la fiaccola diviene un topos all’interno della tradizione letteraria giungendo fino ad Igino (Promfc28) e ad Apollodoro (Promfc27). È quindi molto complesso comprendere quale sia la fonte letteraria reale del dipinto dato che sono assenti ulteriori indizi iconografici. La fiaccola è infatti un elemento sempre presente nelle scene che rappresentano il furto o la trasmissione del fuoco (fa eccezione l’incisione che correda gli Hieroglyphica di Piero Valeriano; Cfr. scheda opera 47) e un’iconografia molto simile a quella in questione era già stata utilizzata da Giovanni Antonio Fasolo all’Eolia di Villa Trento (Cfr. scheda opera 55) e da Angelo Righi nel Salone della Caminata a Palazzo Sforza Monaldeschi (Cfr. scheda opera 57).

Silvia Trisciuzzi