67: Prometeo

Titolo dell'opera: Prometeo incatenato

Autore: Salvator Rosa

Datazione: anni ’30 del 1600

Collocazione: Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica

Committenza: 

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (220x176)

Soggetto principale: il supplizio di Prometeo

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo

Attributi: nudità, barba, vincoli, aquila, ferita, torcia accesa (Prometeo)

Contesto:  contesto montuoso

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 62; Dempsey C., Euanthes Redivivus: Ruben's Promentheus Bound, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 30, 1967, p. 424; Salerno L., a cura di, L’opera completa di Salvator Rosa, Rizzoli, Milano 1975, p. 93, n. 109; Scott J., Salvator Rosa. His Life and Times, Yale University Press, New Haven-London 1995, pp. 10-12; Alloisi S., a cura di, Guida alla Galleria Corsini, Gebart s.r.l., Roma 2000, pp. 97-99

Annotazioni redazionali: Il dipinto di Salvator Rosa, la cui datazione è incerta ed oscilla tra i primi anni ’30 (Scott, 1995; Alloisi, 2000), in ragione del riferimento stringente al Tizio di Ribera, e gli anni ’50-’60  del 1600 (Salerno, 1975), è una delle rappresentazioni più crude del supplizio di Prometeo, momento che per sua stessa natura è il più drammatico dell’intera vicenda. Il Titano, nudo e barbuto come di consueto, è trattenuto da pesanti catene di ferro ad una parete rocciosa, secondo la tradizione iconografica che deriva dal Prometeo Incatenato di Eschilo (Promfc04) il cui esemplare più famoso è il gruppo scultoreo proveniente da Pergamo (Cfr. scheda opera 10); il corpo è disteso sul ripiano roccioso come ad offrire l’addome all’aquila con le ali spiegate che, appollaiata sulla gamba sinistra ripiegata, ha letteralmente estratto le interiora dal torso in un groviglio sanguinolento caratterizzato da una sorta di precisione chirurgica. Prometeo ha il volto contorto e la bocca spalancata in un urlo di dolore che amplifica la violenza della scena; la centralità assegnata alla brutalità dell’avvenimento è da interpretare, secondo la Raggio (1958), in connessione con un passo del Trattato dell’arte della Pittura di Lomazzo in cui il dolore che scuote violentemente il corpo di chi soffre è da riconoscere come la prima delle passioni ed il supplizio di Prometeo è indicato come un soggetto esemplare per l’espressione pittorica della “mozione degli affetti”. La critica è stata per lungo tempo divisa nel riconoscimento dell’episodio mitico che presenta delle affinità con la storia di Tizio, ma  la presenza di una torcia accesa ai piedi del Titano toglie ogni dubbio in quanto è un chiarissimo riferimento al furto del fuoco a beneficio dell’umanità, causa di un così tremendo castigo. Allo stesso tempo però non si può prescindere dal modello costituito dal Tizio di Jusepe de Ribera, realizzato nel 1632 e conservato al Prado, dal quale riprende la posizione supina del torturato, propria di Tizio ed estranea alle rappresentazioni più antiche di Prometeo, così come la posizione del braccio posto al di sopra della testa - sebbene nel dipinto di Rosa la mano sia stretta a pugno in una forte enfasi del tormento fisico - e la bocca spalancata in un urlo di dolore.

Silvia Trisciuzzi