64: Prometeo

Titolo dell'opera:   

Autore: Peter Paul Rubens

Datazione: 1612

Collocazione: Philadelphia, Philadelphia Museum of Art

Committenza: 

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela (189x240cm)

Soggetto principale: il supplizio di Prometeo

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo

Attributi: nudità, vincoli, aquila, torcia accesa (Prometeo)

Contesto: paesaggio montuoso

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Kimball F., Rubens’ Prometheus, in “The Burlington magazine”, 94, 1952, pp. 66-70; Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 58; Dempsey C., Euanthes Redivivus: Ruben's Promentheus Bound, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 30, 1967, pp. 420-425; Sutton P., “Tutti finiti con amore”: Rubens’ Prometheus Bound, in Haverkamp-Begemann E., a cura di, Essays in Northern European art: presented to Egbert Haverkamp-Begemann on his sixtieth birthday, Davaco, Doornspijk 1983, pp. 270-275; Jaffé M., Rubens, catalogo completo, Rizzoli, Milano 1989, p. 174, n. 138; D’Hulst R. A.-de Poorte N.-Vandenven M., Jacob Jordaens (1593-1678). Tableux et tapisseries, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Anvers 1993, pp. 184-185, n. A57; Bikker J., Lucian’s Prometheus as a source for Jordaens and van Baburen, in “Simiolus”, 31, 2004, pp. 47-53

Annotazioni redazionali: Il dipinto di Rubens, acquistato dal Philadelphia Museum of Art all’asta di Kimbolton Castle (Kimball, 1952), è uno dei dipinti più significativi all’interno della tradizione figurativa del mito prometeico. La tela è stata realizzata in collaborazione con Frans Snyders, a cui si deve l’esecuzione dell’aquila di cui il British Museum conserva il disegno preparatorio; non è datata, ma la critica ritiene che possa essere stata eseguita intorno al 1612 – ad eccezione di Jaffé (1989) che propone una datatazione leggermente anteriore, al 1610-11 – sulla base di riscontri stilistici e soprattutto della descrizione che ne diede, nello stesso anno, Dominik Baudius in un componimento poetico (Sutton, 1983). Ulteriori informazioni derivano dalla corrispondenza tra Rubens e Sir Dudley Carleton a cui, con una lettera datata al 28 aprile 1618, il pittore offre alcuni suoi dipinti, tra i quali quello in questione, in cambio di alcuni marmi antichi (Kimball, 1952). Lo scambio epistolare continua con le informazioni che il pittore invia circa il completamento dei dipinti e l’asciugatura, per concludersi felicemente, con l’avvenuta transazione, il 1 giugno 1618. Il riferimento alla conclusione della tela ha fatto supporre che il dipinto descritto dal Baudius fosse una versione precedente, ma Sutton (1983) ha sottolineato come il supporto sia stato ampliato con l’aggiunta del paesaggio e della torcia, sulla sinistra, e quindi molto probabilmente Rubens ha semplicemente ritoccato un dipinto precedentemente eseguito. Tale aggiunta dell’attributo caratteristico di Prometeo è funzionale alla comprensione esatta del soggetto dato che lo stesso Baudius nel 1612 parla erroneamente di un avvoltoio che divora il fegato di Prometeo, avvoltoio che è attributo di Tizio. La tela raffigura il momento del supplizio con estrema crudezza, sottolineando il dolore terribile sopportato da Prometeo attraverso l’espressione quasi deformata del volto e la contrazione a cui il corpo è sottoposto, le dita delle mani fermamente serrate. Ancorato per mezzo di catene ad uno sperone roccioso che allude al Caucaso, il Titano, insolitamente privo di barba, è sdraiato al suolo in una posizione scorciata, con la testa rivolta verso il primo piano, e sembra quasi essere sospeso nel vuoto. Una grande aquila dalle ali spiegate è fermamente poggiata con gli artigli sul suo corpo, una zampa sul ventre ed una sul viso, mentre con il becco estrae da una ferita aperta le sue interiora sanguinolente. Il dipinto è stato realizzato da Rubens senza una commissione specifica e, come si è detto, rimase diversi anni nello studio del pittore. Dempsey, in un articolo del 1967, ha sottolineato il grande attaccamento dell’artista a questa sua opera così significativa in quanto ne rappresentava la volontà di misurarsi con un grande artista del passato, Euanthes, la cui opera, andata perduta, ci è stata tramandata attraverso le parole dell’ekphrasis di Achille Tazio. Nei versi dello scrittore alessandrino, in cui sono descritti due dipinti di Euanthes contenuti nel tempio di Zeus a Pelusio che raffiguravano Andromeda liberata da Perseo e Prometeo liberato da Eracle, è sottolineata la centralità, nella rappresentazione, del dolore del Titano attraverso il contorcimento del corpo che lo porta a sollevare la gamba. Allo stesso modo è descritta in versi la posizione dell’aquila poggiata sul corpo così come la rappresenta Rubens. Il pittore si discosta dal racconto ekphrastico solamente per l’assenza di Ercole. Ciò si spiega, secondo Dempsey, alla luce della ricerca di un modello espressivo prestigioso, come può essere appunto un’opera classica, e non di un prototipo da replicare fedelmente. Inoltre lo studio sull’espressione delle passioni umane è il cardine delle riflessioni teoriche del Lomazzo sui cosiddetti moti dell’animo: in esse Prometeo diviene l’emblema del dolore insopportabile. La scelta di un soggetto così crudo quindi si spiega per mezzo della consonanza della tematica con le ricerche espressive dell’epoca riguardo la rappresentazione artistica, in relazione, sempre secondo Dempsey, con il principio oraziano dell’ut pictura poesis. Prometeo infatti, raffigurato in una nudità classica che ricorda il Laocoonte, potrebbe rappresentare la tormentosa ricerca dell’artista stesso che decide di confrontare le arti sorelle, pittura e poesia, scegliendo come fonte per la propria opera un componimento poetico alessandrino. A dare fondamento all’interpretazione, Dempsey ricorda il ruolo di creatore dell’umanità del Titano, nonché quello di primo artista che realizzò sculture di forma umana, sebbene non vi sia certezza che questo fosse l’intento significante di Rubens. Bisogna notare infatti che, a differenza del dipinto di Jordaens (Cfr. scheda opera 69), non ci sono riferimenti alla realizzazione di statue, ma è visibile una torcia accesa in basso a sinistra. Le fonti classiche, fin dalle più antiche come Esiodo (Promfc01; Promfc02) ed Eschilo (Promfc04), assegnano a Prometeo il furto del fuoco a beneficio dell’umanità che grazie a tale dono generoso intraprende una vita votata alla civiltà ed al progresso. Il fuoco però ha una valenza ambigua essendo una fonte di benessere e conoscenza, ma anche un segno di caducità e limite per gli uomini, nonché di sofferenza per il Titano poiché è la causa del crudele supplizio. L’iconografia della scena infine, soprattutto per la rappresentazione supina del Titano, richiama un altro celebre supplizio, quello di Tizio, al quale due avvoltoi, ma a volte anche uno solo, divoravano il fegato nell’Ade.

Silvia Trisciuzzi