61: Prometeo

Titolo dell'opera: Ercole e Prometeo

Autore: Scuoladei Carracci, Giovanni Lanfranco (attribuito)

Datazione: 1603-1605

Collocazione: Roma, palazzo Farnese, Galleria, parete lunga

Committenza: Cardinale Odoardo Farnese

Tipologia: dipinto murale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Prometeo è liberato da Ercole

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo, Ercole

Attributi: nudità, aquila, vincoli, barba (Prometeo); pelle leonina, freccia (o lancia), clava (Ercole)

Contesto: paesaggio montuoso

Precedenti: 

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 61; Robertson C., Ars vincit omnia: the Farnese Gallery and Cinquecento ideas about art, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome”, 102, 1990, pp. 7-41; Negro E., Giovanni Lanfranco, in Negro E.-Pirondini M., a cura di, La scuola dei Carracci. I seguaci di Annibale e Agostino, Artioli, Modena 1995, p. 174; Dempsey C., Annibale Carracci. Palazzo Farnese, Società editrice internazionale, Torino 1995; Carignani Ginzburg S., Annibale Carracci a Roma. Gli affreschi di Palazzo Farnese, Donzelli, Roma 2000, pp. 79-166; Guadalupi G. – Hochmann M. – Napoleone C., Roma. Palazzo Farnese. Ambasciata di Francia, FMR, Milano 2000, p. 124, n. 23; Ginzburg S., Annibale in palazzo Farnese a Roma, in Benati D. - Riccomini E., a cura di, Annibale Carracci, catalogo della mostra, (Bologna, Museo Civico Archeologico, 22 settembre 2006-7 gennaio 2007, Roma, Chiostro del Bramante, 25 gennaio-6 maggio 2007), Electa, Milano 2007, pp. 451-457

Annotazioni redazionali: La decorazione della volta della Galleria Farnese fu commissionata dal Cardinale Odoardo Farnese ad Annibale Carracci che vi lavorò dal 1597 al 1600, con l’aiuto del fratello Agostino, la cui presenza nel cantiere si colloca presumibilmente  nel 1599. Gli affreschi delle pareti furono eseguiti successivamente, in un periodo compreso tra il 1603 ed il 1605, forse posteriore per quanto riguarda quelle lunghe, e videro un vasto intervento degli allievi come Domenichino, Lanfranco, Sisto Badalocchio ed Antonio Carracci. La definizione del programma complessivo della Galleria, che illustra gli amori degli dèi, è stata connessa con un fatto storico preciso e significativo per la famiglia Farnese: le nozze  tra Ranuccio Farnese e Margherita Aldobrandini celebrate nel 1600. La critica però non è concorde per quanto riguarda il significato sotteso alla rappresentazione; se infatti è accettato che l’occasione degli affreschi fosse legata alle nozze prestigiose che dovevano essere celebrate, resta irrisolta la questione se il contenuto licenzioso della volta sia da interpretare come un gioco ironico e colto intorno al tema dell’Omnia vincit Amor in un continuo confronto con l’arte classica, come proposto ripetutamente da Dempsey (1995), oppure come una rappresentazione allegorica del rapporto tra Amore celeste ed Amore terrestre in relazione con il pensiero filosofico della cerchia dei Gelati di Bologna, alla quale apparteneva Agostino Carracci, che propugnava un’armoniosa unione di sensualità ed intelletto, realizzata appunto all’interno del matrimonio, come sostiene Carignani Ginzburg (2000). Il problema del significato della volta riguarda anche la decorazione delle pareti nella quale è stato notato un cambiamento di atteggiamento che, per Dempsey, è da considerare come un tentativo di moralizzare un ciclo dal carattere evidentemente licenzioso, mentre per Carignani Ginzburg si inserisce naturalmente all’interno di un programma iconografico unitario in cui muta semplicemente il carattere stilistico delle scene. Il riquadro raffigurante la liberazione di Prometeo ad opera di Ercole, attribuito a Giovanni Lanfranco (Briganti, 1987; Negro, 1995), anche se bisogna ricordare il nome di Domenichino avanzato dalla Raggio (1958), appartiene alla decorazione delle pareti lunghe, relative alle imprese della famiglia Farnese; in particolare è associato, insieme al riquadro con Mercurio e Apollo, al Duca Ranuccio Farnese le cui virtù sono rappresentate dallo stemma che raffigura un dio del vento che soffia, accompagnato dal motto: Pellit et attrahit in un chiaro riferimento alla capacità di respingere il male ed attrarre il bene. La scena mostra Prometeo, nudo e barbuto secondo la tradizione, ancora trattenuto al suolo dalle catene mentre Ercole, uccisa con l’arco l’aquila che giace morta in basso a sinistra, ha già sciolto il vincolo che gli imprigionava il braccio destro. A questo proposito la Raggio ricorda, accogliendola, l’interpretazione del Malvasia secondo la quale la scena simboleggia la liberazione dell’uomo dal vizio e dalle passioni che lo torturano attraverso l’esercizio della virtù. L’iconografia della scena, soprattutto per quanto riguarda la posizione del Titano, sdraiato al suolo con il capo rivolto verso l’osservatore, deriva dalle rappresentazioni di un mito affine a quello prometeico, il supplizio di Tizio, in particolare dal dipinto di Tiziano conservato al Prado da cui probabilmente è mutuata la composizione (Raggio, 1958).

Silvia Trisciuzzi