56: Prometeo

Titolo dell'opera: Prometeo e Natura

Autore: Francesco Morandini, detto il Poppi

Datazione: 1570-1572

Collocazione: Firenze, Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I, volta

Committenza: Francesco I de’ Medici

Tipologia: dipinto murale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Prometeo riceve dalla Natura una pietra preziosa

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo, Natura

Attributi: barba, nudità, vincoli (Prometeo); polimastia,

Contesto:  

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Schaefer S. J., The Studiolo of Francesco I de’ Medici in the Palazzo Vecchio in Florence, Universiy microfilms international, Ann Arbor 1976; Dezzi Bardeschi M., a cura di, Lo Stanzino del Principe in Palazzo Vecchio. I concetti, le immagini, il desiderio, Le Lettere, Firenze 1980; Pisi P., Prometeo nel culto attico, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1990; Feinberg L. J., Nuove riflessioni sullo Studiolo di Francesco I, in Chiarini M.-Darr P. A.-Giannini C., a cura di, L’ombra del genio. Michelangelo e l’arte a Firenze 1537-1631, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi ,13 giugno-29 settembre 2002, Chicago, The Art Institute of Chicago, 9 novembre 2002-2 febbraio 2003, Detroit, The Detroit Institute of Arts, 16 marzo-8 giugno 2003) Skira, Milano 2002, pp. 57-75; Berti L., Il Principe dello Studiolo. Francesco I dei Medici e la fine del Rinascimento fiorentino, Maschietto editore, Pistoia 2002 (I ediz. 1967); Calzona L., Firenze – Palazzo Vecchio, in Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 198-200; Conticelli V., Prometeo, natura e il genio sulla volta dello Stanzino di Francesco I: fonti letterarie, iconografiche e alchemiche, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, 46, 2004, pp. 321-356

Annotazioni redazionali: La complessa decorazione dello studiolo di Palazzo Vecchio, realizzata tra il 1570 ed il 1572, fu affidata da Francesco I a Giorgio Vasari che ideò il programma iconografico con l’aiuto di Vincenzo Borghini, come testimonia la corrispondenza tra i due. Lo studiolo è composto da un vano a pianta rettangolare voltato a botte  la cui stessa architettura richiama un forziere segreto e nascosto, non raggiungibile se non attraverso una scala segreta o dalla camera del principe, privo di finestre e quindi illuminato artificialmente (Berti, 2002), uno “spazio iniziatico” con le caratteristiche dell’ipogeo e della grotta (Dezzi Bardeschi, 1980). Era  destinato a contenere la collezione di oggetti d’arte, ma anche meraviglie e rarità naturali di Francesco I; proprio su queste tematiche era informata la decorazione, caratterizzata da una grande eterogeneità di  tecniche e materiali – sono infatti presenti affreschi, pannelli dipinti, statue e rilievi – ed incentrata sul rapporto tra Arte e Natura. La ricostruzione del significato complessivo del ciclo incontra però un importante ostacolo nel fatto che l’insieme fu smantellato in età estremamente precoce, già nel 1586, e riallestito nel 1910 da Giovanni Poggi che si basò sul carteggio tra Borghini e Vasari che aveva scoperto nell’archivio Rasponi Spinelli; tale ricostruzione, seppure non modificata in seguito, è stata variamente ristudiata dalla critica successiva, in particolar modo da Schaefer (1976) e da Rinehart in un tentativo di recuperare l’antico allestimento nel suo evidente valore significante. Lo Studiolo nel suo complesso è stato interpretato come luogo privato nel quale Francesco I poteva indulgere in quegli studi scientifici ed alchemici nei quali si dilettava, in opposizione alla grandiosità delle rappresentazioni storiche svolte nel Salone dei Cinquecento (Berti, 2002), ma anche in connessione con esse in quanto all’età di pace realizzata da Cosimo segue idealmente l’età dell’oro, topos sottolineato all’interno del ciclo dello Studiolo, del figlio Francesco I. Scahefer (1976) ritiene inoltre che la decorazione possa essere considerata una sorta di speculum principum: quanto più il principe avesse compreso il cosmo attraverso le diverse scienze, tanto meglio avrebbe governato la porzione di cosmo che gli pertineva, Firenze, concezione espressa nelle Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IIII di Giambattista della Porta, pubblicato a Napoli nel 1558, testo al quale probabilmente si è rifatto il Borghini. Il ciclo ha inizio nella volta con il riquadro raffigurante Prometeo che riceve dalla Natura una pietra preziosa, circondato da altri riquadri contenenti le rappresentazioni dei quattro elementi, con le rispettive qualità, in connessione con i quattro temperamenti, mentre quattro coppie di putti che si abbracciano stanno ad indicare i legami tra i diversi elementi sulla scorta della concezione della tetrade pitagorica di ascendenza classica (Schaefer, 1976). La decorazione proseguiva sulle pareti suddivisa in due registri; il  primo è formato da una serie di pannelli quadrati dipinti su lavagna con soggetti inerenti alle arti relative agli elementi sotto i quali si trovavano, il secondo da ovali in tela con soggetti mitologici e storici riferiti alla decorazione del registro superiore. Erano presenti inoltre otto statue bronzee di soggetto mitologico inserite all’interno di nicchie ed i ritratti di Cosimo ed Eleonora, genitori di Francesco I, nelle lunette delle pareti brevi. Infine alcuni pannelli avevano la funzione di sportelli di armadietti in cui erano conservati oggetti che presentavano un riferimento mnemonico con il tema della sezione in cui si trovavano, secondo un’impostazione che deriva da L’idea del teatro di Giulio Camillo (Conticelli, 2004). L’affresco collocato al centro della volta introduce e riassume in un certo senso le principali istanze della decorazione in quanto può essere letto proprio alla luce del rapporto dialettico tra l’Arte e la Natura; la prima è rappresentata da Prometeo che, connotato come da tradizione da una lunga barba, è seduto all’interno di una grotta nella posa di Ercole Epitrepisios (Schaefer, 1976), preso per mezzo di forti catene metalliche. Nella mano sinistra stringe il suo attributo più caratteristico, una torcia accesa, mentre con l’altra mano riceve una pietra preziosa ancora grezza, riconosciuta da Lensi Orlandi (1980) come la pietra filosofale datrice di una forza superiore a quella di Giove, interpretazione non accolta unanimemente dalla critica. A donare la pietra è la Natura, raffigurata distesa al suolo, circondata da numerosi animali, e caratterizzata dalla presenza di quattro seni con i quali allatta un fantastico unicorno, forse connesso con il profondo interesse che Francesco I nutriva nei suoi confronti per le sue qualità terapeutiche (Conticelli, 2004), un serpente, un bambino ed un coniglio. Accanto a lei si vede un ramo di corallo mentre al di sopra della sua testa vola un Amorino con le mani protese  in avanti. Prometeo è inserito in questo contesto in quanto inventore delle arti, ruolo che gli assegnano le fonti più antiche a partire dal Prometeo incatenato di Eschilo (Promfc04), arti tra le quali si trova anche la metallurgia che occupa un posto molto significativo all’interno del programma iconografico dello studiolo stesso, come denuncia la presenza di pietre preziose, lavorate e grezze, insieme a due asticelle metalliche, ai  piedi del Titano. L’azione civilizzatrice di Prometeo ha origine proprio nel furto del fuoco, che nel racconto eschileo è connotato come un fuoco tecnico, e per questo motivo compare la torcia accesa tra gli attributi, e forse anche la ruota posta a terra che potrebbe alludere al trafugamento del fuoco dalle ruote del carro del Sole, variante mitologica che caratterizza le fonti testuali tardoclassiche e medioevali, oppure all’introduzione della capacità di porre il giogo a buoi e cavalli, secondo la versione eschilea (Conticelli, 2004). Inoltre esiste un’ulteriore versione mitografica secondo la quale Prometeo inventò il primo anello, servendosi delle catene di metallo con le quali era avvinto e la roccia del monte Caucaso, come ricordo della sua crudele punizione; il racconto è introdotto in ambito romano da Igino (Promfc28) e da Plinio il Vecchio (Promfc22) e ripreso in epoca medioevale in un contesto interpretativo di tipo evemeristico; ne parlano infatti Isidoro di Siviglia (Promfm03) e Petrus Comestor (Promfm08), fino a giungere a Polidoro Virgilio da Urbino (Promfr05) con il De Inventoribus libri, edito a Venezia nel 1499. Il Titano quindi allude alla capacità tecnica di intervento sul mondo naturale che deriva dall’antico ruolo di civilizzatore che gli è proprio. Per quanto riguarda la figura della Natura, è evidente un riferimento all’iconografia della Diana efesina per il particolare della polimastia ma anche all’antica Tellus romana per la posizione distesa e la presenza del bambino e del serpente; l’allattamento di tre animali diversi e di un bambino allude alla capacità di generare e nutrire tutte le creature, propria della Natura. Inoltre l’Amorino che vola al di sopra della scena potrebbe simboleggiare il Genio che, secondo un’interpretazione che deriva da Bernardo Silvestre, ma si inserisce all’interno di una tradizione legata ai Padri della Chiesa, era preposto alla definizione delle caratteristiche peculiari di ciascun individuo. Infine è necessario sottolineare un riferimento ai quattro elementi, tematica che scandisce l’intero ciclo, attraverso la presenza degli uccelli che simboleggiano l’Aria, il corallo l’Acqua, la torcia accesa il fuoco, mentre la Terra è indicata da numerosi elementi come la pietra preziosa non lavorata, gli animali e la Natura stessa. Tra le diverse interpretazioni date alla scena, che implicano però un significato relativo all’intero ciclo, la lettura in chiave alchemica ha goduto di grande fortuna nella critica. Muovendo dalla passione conosciuta di Cosimo e di Francesco I per questa disciplina, è stato ipotizzato che il ciclo facesse riferimento al processo generativo della Natura in relazione a quello dei metalli che può attuarsi solamente attraverso il processo alchemico, rappresentato simbolicamente da Prometeo la cui storia presenta delle profonde connessione con la metallurgia. Dezzi Bardeschi (1980) legge il ciclo alla luce dell’esaltazione della tematica del sogno come stato che consente l’elevazione verso verità superiori in un percorso di tipo alchemico che ha inizio con la notte, Nigredo, fino a raggiungere la morte di bacio, la Coniunctio con la divinità. Conticelli (2004) invece sottolinea come un’interpretazione alchemica di Prometeo fosse già espressa in epoca classica, con Zosimo; era inoltre presente nella Chrysopoeia di Giovanni Aurelio Augurello, pubblicata nel 1515. Al contrario la concezione di Prometeo come protettore della metallurgia non è accettata unanimemente dalla critica (Pisi, 1990).  Infine lo stesso Borghini interpreta il supplizio sul monte Caucaso come un’allegoria dell’attività di scavo per trovare metalli e pietre preziose e per questo motivo, forse, Prometeo riceve dalla Natura una pietra grezza e ha accanto a sé delle asticelle di metallo, necessarie alla lavorazione dei metalli pregiati (Conticelli, 2004).

Silvia Trisciuzzi