Titolo dell'opera:
Autore: Battista Zelotti
Datazione: 1565
Collocazione: Lonedo di Lugo (Vi), Villa Godi, Sala dei Trionfi, soffitto
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela
Soggetto principale:
Soggetto secondario:
Personaggi: Prometeo, Minerva, Ercole, Mercurio
Attributi: nudità, vincoli, ferita, aquila, barba (Prometeo); lancia, elmo, scudo, corazza (Minerva); clava, pelle del leone nemeo (Ercole); caduceo, petaso (Mercurio)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Crosato L., Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Libreria Editrice Canova, Treviso 1962, pp.120-126; Brugnolo Meloncelli K., Battista Zelotti, Berenice, Milano 1992, pp. 104-106; Lucco M., a cura di, La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, Electa, Milano 1998, p.778; Pierguidi S., Gambare di Mira (VE) – Villa Foscari detta “La Malcontenta”, Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003 pp. 202-203
Annotazioni redazionali: Tra i primi progetti architettonici di Andrea Palladio si trova Villa Godi, ora Malinverni, realizzata per volere di Girolamo Godi e conclusa nel 1542, come testimonia l’iscrizione collocata sulla porta di ingresso. La decorazione degli interni, di cui parla lo stesso Palladio nel suo Trattato, vede un primo intervento di Gualtiero Padovano a cui si devono gli affreschi della loggia e le stanze dell’ala destra del piano, realizzati prima del 1552-1553, periodo in cui si colloca la sua morte. Gli affreschi dell’ala sinistra invece sono opera di Battista Zelotti e Battista del Moro e si collocano intorno al 1565, sebbene la critica non sia concorde per quanto riguarda la relazione con il ciclo pittorico zelottiano di Villa Emo, da alcuni considerato anteriore, da altri posteriore a quello di Villa Godi (Brugnolo Meloncelli, 1992). Le pareti della Stanza dei Trionfi, la seconda nell’ala destra, affrescate da Gualtiero Padovano, presentano un fregio a monocromo con trionfi romani sostenuto da cariatidi, mentre la parete principale è dominata da un vasto paesaggio caratterizzato dalla presenza del Colosso di Rodi. Il soffitto è decorato da un ovale, realizzato ad olio su tela da Battista Zelotti, inquadrato da cornici e attorniato da quattro raffigurazioni a monocromo di Vittorie alate. L’ovale centrale rappresenta in basso Prometeo, barbuto e nudo, disteso e trattenuto al suolo per mezzo di catene fissate nella roccia che allude al monte Caucaso; il volto è rivolto verso l’alto ed il fianco presenta una ferita ancora rossa di sangue causata dall’aquila che volteggia poco più in alto. In piedi, accanto a lui, si trovano Ercole che, nudo, ma rivestito delle tradizionale pelle leonina, in mano la clava, indica qualcosa, probabilmente lo stesso Prometeo, e sembra rivolgersi a Minerva posta lì vicino. La dea, caratterizzata dai consueti attributi, elmo, scudo e lancia, guarda verso Mercurio, riconoscibile dal petaso e dal caduceo, che si libra sopra di loro. La scena presenta un’iconografia inconsueta in quanto presenta delle divinità associate al mito prometeico, ma riconducibili a diversi episodi. Il personaggio di Ercole è infatti tradizionale nelle scene di liberazione del Titano, ma è generalmente colto nell’atto di scoccare una freccia contro l’aquila oppure di liberare Prometeo dai vincoli; in casi rari il suo operato è favorito dalla dea Minerva, come in un vaso apulo conservato allo Staatliche Museen di Berlino (Cfr. scheda opera 07) e in un affresco proveniente dal Colombario Maggiore di Villa Pamphili (Cfr. scheda opera 12). Bisogna sottolineare però che l’intervento della dea nella liberazione di Prometeo non è usuale nè riconducibile ad alcuna fonte letteraria, mentre il suo ruolo è molto significativo nelle scene raffiguranti la creazione del primo uomo, molto spesso in connessione con il dio Mercurio. Quest’ultimo infine è anche l’artefice della punizione di Prometeo, con l’aiuto di Vulcano, secondo una variante del mito tramandata da Luciano di Samosata (Promfc31). I diversi personaggi quindi sono in profonda connessione con il racconto prometeico, ma in una relazione reciproca non tradizionale e non riconducibile ad un momento specifico del mito. La Crosato (1962) interpreta la scena come la Virtù che incatena il Vizio, lettura non condivisa dalla Brugnolo Meloncelli (1992) che non propone però un possibile significato. Ivanoff (1963) invece vi vede una rara raffigurazione della liberazione di Prometeo, ma segnala solamente l’inconsueta presenza di Minerva e non quella di Mercurio. È evidente che la rappresentazione non rimandi ad un episodio specifico del racconto prometeico, ma faccia riferimento ad una lettura allegorica dell’insieme, non riscontrabile nella tradizione ovidiana e che quindi andrebbe ricercata all’interno della tradizione emblematica dell’epoca.
Silvia Trisciuzzi