49: Prometeo

Titolo dell'opera:   

Autore: Orazio Sammacchini

Datazione: post 1557

Collocazione: San Secondo, Rocca dei Rossi, Sala dei Giganti, volta

Committenza: Troilo II Rossi

Tipologia: dipinto murale

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Prometeo ruba il fuoco celeste con l’aiuto di Minerva

Soggetto secondario: il supplizio di Prometeo

Personaggi: Prometeo, Minerva

Attributi: torcia accesa, barba, aquila, vincoli, nudità (Prometeo); elmo, scudo, lancia (Minerva)

Contesto:  

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Basteri M. C. – Rota P., I conti Rossi e la residenza di San Secondo, in Basteri M.C.-Cirillo G.-Godi G.-Rota P., La Rocca dei Rossi a San Secondo. Un cantiere della grande decorazione bolognese del Cinquecento, Promo Service Editrice, Parma 1995, pp. 13-122; Cirillo G.- Godi C., Le decorazioni, in Basteri M.C.-Cirillo G.-Godi G.-Rota P., La Rocca dei Rossi a San Secondo. Un cantiere della grande decorazione bolognese del Cinquecento, Promo Service Editrice, Parma 1995, pp. 133-136; Pierguidi S., San Secondo – Rocca dei Rossi, in Cieri Via, Cieri Via C., L’arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Lithos, Roma 2003, pp. 332-334

Annotazioni redazionali: La decorazione della Sala dei Giganti si inserisce all’interno del progetto di aggiornamento architettonico e decorativo intrapreso per volere di Troilo II Rossi e realizzato tra il 1556 ed il 1591. Scopo dell’intervento era la conversione dell’antico castello fortificato, edificato da Pier Maria I tra il 1445 ed il 1447,  in un palazzo signorile sul modello del palazzo Farnese di Caprarola, con un chiaro intento celebrativo della famiglia. Basteri-Rota (1995) a tal proposito sottolinea come la costruzione voluta da Pier Maria I fosse pienamente partecipe delle concezioni umanistiche dell’epoca poiché inserita all’interno di un progetto unitario di fortificazione dei territori governati dai Rossi; il castello di San Secondo infatti fu edificato unitariamente agli interventi di rifondazione dei castelli di Roccabianca e Torrechiara. In questo contesto si inserisce la realizzazione degli affreschi del piano nobile ed in particolare la decorazione di cinque stanze ad opera di Orazio Samacchini, tra le quali appunto la Sala dei Giganti. La volta è riccamente decorata e scandita da cornici in stucco con mascheroni che contengono quadri riportati; al centro è raffigurata la Caduta dei Giganti, di dimensioni maggiori, circondata da quattro quadri minori che rappresentano dei miti di punizione divina della superbia: la Caduta di Icaro, la Caduta di Fetonte, Minerva che aiuta Prometeo a rubare il fuoco, con il conseguente Supplizio, e Apollo che saetta i Greci. Il riquadro con l’episodio di Prometeo mostra il Titano sorretto dalla dea Minerva mentre avvicina una torcia alla sfera luminosa del sole per poterne prelevare il fuoco da trasmettere agli uomini. Il furto del fuoco, momento del mito molto antico, è raffigurato con una forte sottolineatura dell’intervento benevolo della dea Minerva, particolare assente nelle fonti più antiche, Esiodo (Promfc01; Promfc02) ed Eschilo (Promfc04), ma presente in Luciano di Samosata (Promfc30; Promfc31; Promfc32) e nelle principali fonti medioevali e rinascimentali. L’iconografia della scena ricorda molto da vicino l’affresco di identico soggetto realizzato da Pellegrino Tibaldi come decorazione di un camino di una sala del pianterreno a Palazzo Poggi, a Bologna, realizzato molto probabilmente intorno al 1555 (Cfr. scheda opera 46). L’intero impianto decorativo della sala è ispirato agli affreschi del Tibaldi a Palazzo Poggi, ma sono presenti diversi riferimenti formali a Parmigianino, Bronzino e Salviati (Cirillo-Godi, 1995). Nel riquadro del Sammacchini, però, a differenza dell’affresco del Tibaldi, l’azione benevola di Prometeo nei confronti dell’umanità è presentata in tutta la sua complessità: infatti, nonostante l’aiuto divino, egli è crudelmente punito da Giove come si può vedere dal particolare, in primo piano a sinistra, del supplizio del Titano, costretto al suolo dalle catene e dal corpo dell’aquila che infierisce col becco sul suo fegato.

Silvia Trisciuzzi