
Titolo dell'opera:
Autore:
Datazione: 1556
Collocazione: Piero Valeriano, Hieroglyphica, Basilea 1556
Committenza:
Tipologia: illustrazione
Tecnica: incisione xilografica
Soggetto principale: Prometeo ruba il fuoco celeste
Soggetto secondario:
Personaggi: Prometeo
Attributi: fuoco (Prometeo)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 59
Annotazioni redazionali: L’incisione correda gli Hieroglyphica di Piero Valeriano (Promfr14), stampati a Basilea nel 1556, e precisamente si trova nel LIX libro, intitolato Prometheus, Artes et ingenium, vel artium inventores. Come è evidente sin dal titolo, il mito di Prometeo è letto da Valeriano come metafora dell’introduzione delle arti e della cultura nel consesso umano, ma non alla luce del Prometeo incatenato di Eschilo (Promfc04), prima fonte classica che assegna al fuoco rubato una valenza tecnica e di civiltà, bensì a quella del Protagora di Platone (Promfc09). Per mezzo del fuoco, simbolo della sapienza e dell’arte, rubato dalla comune officina di Vulcano e Minerva (“Vulcani et Minervae artificiosam sapientiam una cum igne furatur”) l’uomo è reso pienamente se stesso e posto al centro della creazione, l’unico dotato di ragione e per questo in grado di vivere civilmente, di organizzare un sistema di abitazioni, capace di comunicazione articolata e soprattutto collocato in una posizione intermedia tra dèi e animali. L’unica conoscenza che Prometeo non poté trasmettere era la giustizia, poiché si trovava, ben protetta, presso Giove. È infatti quest’ultimo a concederla agli uomini per mezzo di Mercurio. Inoltre la luce della fiaccola rappresenta l’aristotelico intelletto attivo a cui si deve l’invenzione delle arti, significando al tempo stesso anche l’ingegno del loro inventore. L’incisione coglie il nucleo concettuale profondo del racconto in quanto mostra Prometeo, giovane e imberbe poiché l’eternità del supplizio è ancora lontana, vestito di un corto abito e con gli stivali ai piedi, che stringe nella mano sinistra un fascio luminoso, e non la tradizionale fiaccola. Il Titano ha un’aria di esultanza, si potrebbe dire quasi di tracotanza, come mostra il braccio destro poggiato sul fianco e lo sguardo deciso rivolto verso un sole con tratti umani visibilmente adirati, evidente allusione all’ira di Giove. È un chiaro ricordo del carattere non solo civilizzatore, ma anche fraudolento, e di aperta sfida al re degli dèi, dell’agire di Prometeo, così come viene presentato dalla fonte esiodea (Promfc02).
Silvia Trisciuzzi