34: Prometeo

Titolo dell'opera:   

Autore:  

Datazione: 1531

Collocazione: Andrea Alciati, Emblemata, Augsburg, 1531

Committenza: 

Tipologia: illustrazione

Tecnica: incisione xilografica

Soggetto principale: il supplizio di Prometeo

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo

Attributi: aquila, nudità, ferita (Prometeo)

Contesto: scena all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, pp. 55-56; Pisi P., Prometeo nel culto attico, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1990

Annotazioni redazionali: La xilografia illustra la prima edizione degli Emblemata di Andrea Alciati (Promfr09), pubblicata nel 1531, e rappresenta in maniera essenziale il supplizio di Prometeo. In un paesaggio semplificato, reso solamente attraverso la presenza di un albero stecchito a sottolineare la negatività della scena, un Prometeo, singolarmente giovanile ed imberbe, è rappresentato disteso al suolo, coperto da una sorta di perizoma. La posizione del Titano è molto particolare poiché non è incatenato in alcun modo ed è assente qualsiasi riferimento al monte Caucaso e al tradizionale sperone roccioso; inoltre la posizione del corpo non è contratta per il dolore ed anche l’espressione del volto è serena. Un’altra particolarità della rappresentazione è che l’uccello, che parrebbe più un avvoltoio che un’aquila, ha aperto una profonda ferita nel suo corpo dalla quale si distingue chiaramente un cuore. È stata sottolineata la vicinanza iconografica con il supplizio di Tizio, sdraiato al suolo con uno o due avvoltoi a divorargli il fegato, come si vede in un particolare della xilografia che illustra l’episodio della discesa di Giunone agli inferi nell’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni Bonsignori. Bisogna sottolineare però che anche all’interno della tradizione testuale prometeica si trovano alcune fonti che parlano di un avvoltoio che divora il cuore di Prometeo. Tra gli autori classici che indicano il cuore al posto del fegato è Igino nella Fabula 144 (Promfc29), mentre l’avvoltoio si trova in Valerio Flacco (Promfc26) per poi essere ripreso in alcune fonti tardoclassiche e medioevali, come Servio (Promfc44), Fulgenzio (Promfm01), il terzo Mitografo Vaticano (Promfm07) ed Arnolfo d’Orléans (Promfm09), forse proprio per una commistione con il mito di Tizio. Bisogna sottolineare però che a differenza delle fonti medioevali in cui è data una visione positiva di Prometeo per l’atto creativo che condivide con Dio stesso, all’interno della tradizione emblematica il Titano acquisisce una valenza estremamente negativa. Il tradizionale ruolo di sapiente assegnato a Prometeo è rovesciato nella metafora di una superba ricerca di superamento dei limiti naturali dell’uomo; non è quindi un caso che il momento prediletto sia quello del supplizio del Titano. Negli Emblemata Prometeo, significativamente rappresentato sotto il motto “Quae supra nos, nihil ad nos”, è presentato da una subscriptio in cui Andrea Alciati sottolinea il pentimento del Titano per la sua maggiore impresa, la creazione dell’uomo, perché a causa di questo suo atto presuntuoso viene orribilmente punito con un castigo che è una metafora dei pensieri che tormentano i saggi che tentano di comprendere le cose ultraterrene. La dichiarazione di odio nei confronti dei vasai che Alciati assegna e Prometeo è stata ricondotta al dialogo di Luciano di Samosata, Prometheus es in verbis (Promfc32), nel quale il Titano è presentato come il protettore dei vasai. Alla luce di ciò, a partire da Wilamowitz (1914), si è ipotizzato un culto da parte degli artigiani nei confronti del Titano. Pisi (1990) si sofferma sulla labilità di una tale interpretazione che stravolge il carattere ironico del testo di Luciano, in cui peraltro non è presente alcun riferimento ad artigiani che utilizzino il fuoco, bensì un’allusione alla lavorazione della creta da parte dei vasai proprio come Prometeo plasmò il primo uomo.

Silvia Trisciuzzi