
Titolo dell'opera:
Autore:
Datazione: 1325-1350
Collocazione: Ovide moralisé, Lione, Bibliothèque Municipal, Ms 742, f. 4
Committenza:
Tipologia: illustrazione
Tecnica: miniatura
Soggetto principale: Prometeo anima il primo uomo
Soggetto secondario: la creazione del mondo
Personaggi: Prometeo, Dio Padre
Attributi: torcia accesa, uomo, barba (Prometeo); aureola, barba bianca (Dio Padre)
Contesto: scena all’aperto con costruzioni
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 49; Panofky E., Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale, Feltrinelli, Milano 1984, p. 100, n. 82; Arasse, Arasse D., Michel-Ange et l’index de Moïse, in Le sujet dans le tableu, Flammarion, Paris 2006, p. 166
Annotazioni redazionali: La miniatura illustra un manoscritto contenente l’Ovide moralisé il cui corredo illustrativo è caratterizzato dalla fedeltà al racconto ovidiano originario più che dall’influenza dell’interpretazione cristiana propria del testo che correda (Panofsky, 1984). La scena rappresenta l’animazione dell’uomo ad opera di Prometeo, ma si inserisce in un più ampio contesto legato alla creazione nel racconto biblico: è infatti visibile sulla sinistra Dio Padre, riconoscibile per mezzo dell’aureola e della barba bianca, proprio nel momento in cui intraprende la creazione dell’universo rappresentato dall’informe massa bianca che tocca con la mano destra, forse in riferimento alla separazione della luce dalle tenebre. Sulla destra, Prometeo, vestito con abiti di foggia orientale, quasi come un saggio o un profeta, la barba lunga ed un insolito copricapo, è rappresentato chino su di un uomo nudo, disteso al suolo, caratterizzato da quella rigidità delle membra che allude al corpo inerte prima dell’animazione, particolare che si trova nel gruppo di sarcofagi romani del III sec. d. C. raffiguranti la creazione del primo uomo ad opera di Prometeo (Cfr. scheda opera 13, scheda opera 14 e scheda opera 15). In questo caso il momento rappresentato è però quello dell’animazione dell’uomo come indica la torcia accesa che Prometeo avvicina al capo dell’uomo del quale stringe la mano destra in un gesto che viene riconosciuto da Turcan (1999) anche in un particolare della fronte di sarcofago conservata al Louvre (Cfr. scheda opera 13) che rappresenta il furto e la trasmissione del fuoco all’uomo. Il gesto del Titano acquisirebbe così il significato di infusione di un’anima immortale, rappresentata dal fuoco, in un corpo mortale. Nelle Metamorfosi di Ovidio (Promfc21) non vi è alcun riferimento all’animazione per mezzo del fuoco, ma solamente alla creazione per mezzo di terra plasmata con acqua piovana; è però nell’Ovide moralisé (Promfm12) che si ricorda il furto del fuoco dalle ruote del carro del Sole, particolare assente nelle principali fonti classiche - in cui si parla tradizionalmente di un fuoco sottratto a Zeus o rubato dalla fucina di Efesto e di Atena come nel Protagora di Platone (Promfc09) - ed introdotto da Servio (Promfc44) e Fulgenzio (Promfm01). Il furto del fuoco dalle ruote del carro del Sole è un elemento del mito che dalle fonti tardo-classiche permane in quelle medioevali – si ritrova infatti anche nei tre Mitografi Vaticani (Promfm05; Promfm06; Promfm07), in Arnolfo d’Orléans (Promfm09), in Giovanni del Virgilio (Promfm11) ed in Boccaccio (Promfm14). A fare da sfondo alla scena, il cielo illuminato da tre astri, uno specchio d’acqua popolato da pesci ed alcuni animali sdraiati all’ombra di alberi proprio come si trova nel racconto della Genesi in cui la creazione è suddivisa in sei giorni a ciascuno dei quali corrisponde un elemento naturale ben preciso. All’estrema destra, alcune abitazioni indicano la capacità di operare sul creato propria dell’uomo, l’unico dotato della facoltà intellettiva, chiamato ad amministrare il creato secondo il racconto biblico. E proprio nell’Ovide moralisé si ricorda come l’uomo sia la più nobile creatura perché creato ad immagine di Dio, l’unico ad avere una postura eretta ed il volto rivolto verso il cielo e dotato inoltre di un’anima destinata alla salvezza eterna, salvezza che è il suo massimo bene ed il fine della vita stessa. È evidente come l’immagine testimoni l’avvenuta cristianizzazione del mito prometeico in un processo legato alle affinità presenti tra il racconto mitico e quello biblico. Già Tertulliano nell’Apologeticum (Promfc35), aveva sottolineato la connessione tra il Dio biblico ed il personaggio mitologico di Prometeo: “[…] quo praedicarent deum unicum esse […]qui hominem de humo struxerit (hic enim est verus Prometheus)”.; per questo motivo infatti il Medio Evo ha visto una progressiva concentrazione sul tema della creazione dell’uomo, a scapito degli altri episodi come il supplizio del Titano la cui aperta ribellione a Zeus non era congeniale alla visione provvidenzialistica di un cosmo giusto governato da Dio propria dell’epoca L’unico elemento del mito che doveva essere ripensato era la duplicità dell’atto creativo che vedeva in Prometeo l’artefice materiale ed in Minerva (o in Mercurio) la dispensatrice dell’anima immortale, in un processo che vedeva due fasi distinte, come ben rappresentano alcuni sarcofagi romani di cui si è già parlato. Nell’Ovide moralisé i due atti creativi sono ricondotti al solo Prometeo, ma il suo operato è interpretato come una prefigurazione delle verità di fede cristiane e quindi della creazione dalla terra ad opera di Dio e del successivo soffio vitale per infondere la vita: “allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi, 2, 7).
Silvia Trisciuzzi