13: Prometeo

Titolo dell'opera:   

Autore:  

Datazione: 220 d.C. ca.

Collocazione: Parigi, Louvre (già collezione Borghese)

Committenza: 

Tipologia: scultura

Tecnica: fronte di sarcofago scolpito in rilievo

Soggetto principale: Prometeo crea il primo uomo, animato da Minerva

Soggetto secondario:  Prometeo ruba il fuoco e lo trasmette all’uomo

Personaggi: Prometeo, Minerva, Mercurio, Psiche, uomo, Lachesi, Cloto, Atropo, Vulcano, Ciclopi.

Attributi: nudità, barba lunga, uomo, canestro pieno di argilla (Prometeo); lancia, elmo, crisalide di farfalla (Minerva); ali di farfalla (Psiche); caduceo, petaso (Mercurio); quadrante solare (Atropo); rotolo (Cloto); globo (Lachesi); fucina, martello (Vulcano); torcia accesa (Prometeo); torcia spenta (uomo)

Contesto:  

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Raggio O., The Myth of Prometheus. Its survival and metamorphoses up to the eighteenth century, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, 21, 1958, p. 47, pl. 4e; Turcan R., Note sur le sarcophage “au Promethée”, in “Latomus”, XXVII, 1968, pp.630-634; Baratte F.-Metzger C., Catalogue des sarcophages en pierre d’époques romaine et paléochrétienne, Éditions de la Réunion des musées nationaux, Paris 1985, pp. 112-115, n. 46; Turcan R., Messages d’outre-tombe. L’iconographie des sarcophages romains,  De Boccard, Paris 1999, pp. 135- 140.

Annotazioni redazionali: Il rilievo costituisce la fronte di un sarcofago datato al 220 d.C. ca., appartenente all’antica collezione Borghese e conservato al Louvre dal 1808; si inserisce all’interno di un discreto gruppo di sarcofagi di soggetto prometeico in cui il Titano è presentato non solamente come benefattore dell’umanità, ruolo assegnatogli sin dalle fonti classiche più antiche come Esiodo (Promfc02) ed Eschilo (Promfc04), ma soprattutto come plasmatore del primo uomo, episodio la cui antichità è ancora dibattuta, ma che si attesta dalla tarda antichità. Il rilievo in questione costituisce allo stesso tempo un documento unico in quanto testimonia aspetti del mito generalmente assenti negli altri esemplari del gruppo, ma che lo inseriscono profondamente all’interno della tradizione letteraria e figurativa, primo fra tutti il furto del fuoco la cui presenza si deve probabilmente ricondurre all’importanza di tale elemento nel pensiero stoico. Inoltre è l’unico esemplare a svolgere in successione gli episodi principali del racconto prometeico; tra di essi doveva trovarsi anche il supplizio e la successiva liberazione ad opera di Eracle andate perdute perché il rilievo è tagliato, ma di cui abbiamo una testimonianza grafica nel disegno Topham (Baratte-Metzger, 1985). Per quanto riguarda la composizione  e l’iconografia, soprattutto della scena della plasmazione, il gruppo è molto omogeneo e le differenze riguardano i diversi personaggi, in qualche modo secondari anche se significanti, che assistono alla scena; Prometeo infatti è generalmente rappresentato seduto, ammantato, ma con il torso nudo, la barba lunga e un atteggiamento da filosofo saggio che sottolinea l’altissimo valore della sua opera in una posa che richiama alcune gemme incise raffiguranti la creazione dell’uomo (Cfr. scheda opera 08 e scheda opera 11). Così infatti è raffigurato sulla sinistra del rilievo nell’atto di dare gli ultimi ritocchi ad una statuetta di forma umana, posta su di un piedistallo e realizzata con l’argilla contenuta in un canestro ai suoi piedi, elemento quest’ultimo caratterizzante di questo episodio; Minerva, rappresentata con i tradizionali attributi di elmo e lancia, impone la mano sul capo della creatura deponendovi una crisalide di farfalla. La dea, personaggio essenziale nei rilievi di sarcofago del gruppo, riveste nelle fonti letterarie classiche un ruolo marginale: un primo riferimento, seppure indiretto, si trova nel Protagora di Platone (Promfc09) in cui Prometeo ruba l’abilità tecnica dall’officina che la dea condivide con Vulcano. La fonte classica più stringente è quella di Luciano che nel Prometeo sive Caucasus (Promfc31) ricorda la plasmazione dell’uomo dall’argilla ed il successivo aiuto della dea: “Laonde, come dicono i poeti, mescendo terra ed acqua, e fattone una poltiglia, feci gli uomini: e chiamai Minerva per aiutarmi nell'opera” e ancora nel Prometheus  es in verbis (Promfc32): “come Prometeo fece quando non v'erano ancora gli uomini; egli li ideò e formò, e diede loro e vita e moto e grazia d'aspetto, e ne fu al tutto il primo fabbro; se non che un cotal poco l'aiutò Minerva, che soffiò nella creta già formata, e le infuse l'anima”. Infine Igino, nella Fabula 144 (Promfc29), racconta che Minerva infuse l’anima alla prima donna, Pandora, plasmata da Vulcano. Al centro, il gruppo delle tre Parche, riconoscibili attraverso i consueti attributi: Atropo indica l’ora della morte dell’uomo su di un quadrante solare posto alle spalle di Cloto che si trova al centro colta nell’atto di svolgere il rotolo contenente il destino dell’uomo. Infine Lachesi con in mano il tradizionale globo sul quale indica la posizione degli astri (Baratte-Metzger, 1985). Una particolarità del gruppo è data dalle acconciature: i capelli sono raccolti in una sorta di chignon e la fronte è ornata da piume, attributo che pertiene alle Muse che le avevano vinte alle Sirene in una contesa musicale; tale assimilazione delle Parche alle Muse deriva dal mito di Er raccontato nel X libro della Repubblica di Platone ed è testimoniata anche nell’altro sarcofago prometeico conservato al Louvre (Cfr. scheda opera 14). Esse sono rivolte verso l’uomo disteso al suolo, sovrastato da un barbuto Mercurio che, nudo, ma con le spalle coperte dalla clamide, in mano il consueto caduceo e sul capo il petaso, trattiene una Psiche dalle ali di farfalla che mostra il palmo delle mani in quello che è stato riconosciuto come un gesto di repulsione. Proseguendo verso destra, è rappresentato Vulcano, barbuto e con il torso nudo, seduto all’interno della sua fucina; è intento a fabbricare le catene per il supplizio di Prometeo lavorando il metallo con il martello che tiene sospeso in aria prima di colpire; lo stesso motivo è presente nel fianco sinistro del sarcofago conservato ai Musei Capitolini (Cfr. scheda opera 15). Intorno, i Ciclopi aiutano il dio nella sua opera: quello a sinistra con il martello, quello di destra, visto di schiena, mantenendo vivo il fuoco, mentre sullo sfondo altri Ciclopi, appena visibili, azionano il mantice. La fucina, introdotta da Platone nel Protagora (Promfc09), è anche un chiaro riferimento al furto del fuoco ad opera del Titano che infatti è presente sul margine destro del rilievo con il volto rivolto verso il dio che sta forgiando il mezzo del suo tremendo castigo. Barbuto e avvolto in un manto, Prometeo ha in mano una torcia accesa rivolta verso un uomo nudo che a sua volta tiene nella mano destra una fiaccola spenta destinata a ricevere il fuoco. La trasmissione del fuoco, momento altamente significativo del mito che connota Prometeo come benefattore e civilizzatore dell’umanità, ha goduto di scarsissima fortuna rappresentativa, soprattutto per quanto riguarda la trasmissione agli uomini, mentre esiste un gruppo di vasi che mostrano il dono del fuoco ai satiri (Cfr. scheda opera 05). Turcan (1999) sostiene che qui Prometeo avvicina la torcia proprio al volto dell’uomo ad indicare, attraverso l’espediente del furto, l’immissione dell’anima immortale simboleggiata dal fuoco divino. Prometeo in questo senso presiede al ciclo continuo di caduta dell’anima nella materia e di ritorno al mondo celeste degli dèi. Il significato della rappresentazione è estremamente complesso e non privo di interpretazioni discordanti, soprattutto per quanto riguarda la scena dell’animazione dell’uomo sulla sinistra. Se infatti è evidente che il rilievo rappresenta la vita umana nel suo formarsi, materialmente e spiritualmente, è ancora incerto se l’uomo disteso al suolo alluda al naturale concludersi dell’esperienza terrena con la morte oppure se faccia riferimento al momento dell’animazione vera e propria del corpo appena plasmato. È stato infatti sottolineato come non sia possibile dare un’interpretazione univoca alle scene di creazione ed animazione dell’uomo all’interno del gruppo di sarcofagi, essendo possibili sottili, ma profonde oscillazioni di significato. Alla luce del riferimento alla morte, Mercurio riveste il ruolo di psicopompo ed è intento ad estrarre l’anima immortale dal corpo evidentemente mortale, corpo che sembra avere i connotati del cadavere data la rigidità conferita dalle braccia accostate al torso e l’età avanzata denunciata dalla barba lunga (Baratte-Metzger, 1985); il gesto di avversione di Psiche è indice dello sgomento provato di fronte alla consapevolezza di dover raggiungere l’Ade (Festugière, 1957). Inoltre la presenza stessa delle Parche, con il loro chiaro riferimento al destino umano, conferisce al rilievo un tono di profonda riflessione sull’esperienza umana nel suo complesso che, nonostante la caducità, è da considerare intrinsecamente positiva. La loro assimilazione con le Muse, segnalata per mezzo dell’attributo delle piume, allarga la loro influenza al cosmo intero in quanto queste ultime sono preposte al moto degli astri, astri che concorrono a stabilire il destino umano dalla nascita. Allo stesso modo, l’uomo disteso può essere interpretato come una sorta di contenitore di argilla in attesa di ricevere l’anima; Mercurio infatti trattiene Psiche come sospesa al di sopra del corpo per farla quasi precipitare all’interno di quello che costituisce una sorta di tomba (Turcan, 1968; 1999). Questa interpretazione della scena è basata sul Pros Gauron di Porfirio (Promfc38) in cui si legge che nei teatri romani veniva messa in scena l’animazione dell’uomo ad opera di Prometeo come un evento che avviene con la forza dopo la plasmazione del corpo che era mostrato disteso al suolo. Il rilievo costituirebbe così una sorta di illustrazione scultorea di un concetto filosofico molto conosciuto dall’uditorio romano proprio perché pienamente integrato nel suo orizzonte culturale, dato che si inseriva anche nell’ambito teatrale (Turcan, 1968). La visione di cui tale rappresentazione è portatrice è dunque quella delle dottrine orfico-pitagoriche secondo le quali il corpo umano mortale è la tomba dell’anima immortale ed il momento dell’ingresso violento di Psiche costituisce quello della vera morte, l’unico da temere come indica il suo gesto di repulsione. In questo contesto interpretativo, il gesto di Minerva non allude all’animazione, bensì al dono dell’intelligenza a cui la dea è preposta; ciò è ancora più evidente per il fatto che la mano della dea poggia sul vertice della testa, sede del nous; non quindi una ripetizione rispetto al gesto di animazione di Mercurio, ma un dono complementare, quello dell’intelligenza, che rende l’uomo veramente tale (Turcan, 1968).

Silvia Trisciuzzi