Titolo dell'opera:
Autore: Pittore di Dinos
Datazione: 420 a.C. ca.
Collocazione: Oxford, Ashmolean Museum
Committenza:
Tipologia: cratere attico a calice
Tecnica: pittura a figure rosse
Soggetto principale: Prometeo trasmette il fuoco ai Satiri
Soggetto secondario:
Personaggi: Prometeo, Satiri
Attributi: nartece (Prometeo); coda equina, orecchie a punta, torce (Satiri)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Beazley J. D., Prometheus fire-lighter, in “American Journal of Archaeology”, 43, 1939, pp. 618-620; Beazley J.D., Attic Red-figure Vase-painters, Oxford University, Oxford 1963, p. 1153, n. 13;Paribeni E., ad vocem Prometeo, in Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, 1965, vol. VI, p. 486; Gisler J. R., ad vocem Prometheus, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Artemis Verlag, Zurich-München, 1994, vol. VII, pp. 534-535, n. 13.
Annotazioni redazionali: Si tratta di una cratere attico a calice, a figure rosse, databile al 420 a.C. e conservato ad Oxford, all’Ashmolean Museum. La pittura che percorre il vaso è divisa orizzontalmente in due fasce e rappresenta diversi episodi mitici tratti da storie attiche: nella zona superiore, le storie di Teseo, in quella inferiore Prometeo con i Satiri sulla fronte, sul verso Cefalo e Aurora. La zona riservata al mito di Prometeo, priva di ogni indicazione spaziale, è interamente occupata dagli attori dell’azione: al centro si trova il Titano caratterizzato dalla barba scura e dalla riccia capigliatura fermata da uno strophion, vestito di un chitone che gli lascia scoperta la spalla sinistra. Il riconoscimento del personaggio è assicurato da un’iscrizione frammentaria di cui rimangono le lettere ΠΡΟΜ [Η] Θ [ΕΥΣ]; inoltre è rivelatore del significato della scena il lungo nartece, con una caratteristica terminazione a coppa, che egli stringe con entrambi le mani. Questo nartece è, in un certo senso, un vero e proprio segno distintivo: è infatti lo strumento con il quale Prometeo rubò il fuoco agli dèi, come è narrato nelle principali fonti classiche. Esiodo, nella Teogonia, racconta di come il Titano avesse nascosto “in un cavo ramo di ferula la scintilla che si vede da lungi dell’infaticabile fuoco” (Promfc02) – simile la descrizione ne Le Opere e i giorni in cui si legge che “il prode figlio di Giapeto rubò per gli uomini il fuoco al saggio Zeus, in un ramo cavo di ferula” (Promfc01) - così come di una ferula cava parla anche Eschilo nel Prometeo incatenato (Promfc04). La particolarità della scena rappresentata è che, secondo le fonti, il dono del fuoco era destinato agli uomini, mentre nel dipinto sono presenti solamente tre Satiri che si avvicinano incuriositi al Titano, dotati ciascuno di una torcia e riconoscibili grazie a delle iscrizioni che ne ricordano i nomi: ΣΙΚ[Ι]ΝΝΙΣ, ΚΩΜΟΣ e ΣΙΜΟΣ. Beazley (1939) sottolinea come gli ultimi due siano tipici nomi satireschi, mentre il primo, inconsueto, è lo stesso di una danza ballata nei drammi satireschi e raffigurata nella pittura vascolare; infatti la postura dei tre può far pensare ai movimenti ritmici tipici della danza. E’ un aspetto particolarmente importante per il riconoscimento della scena poiché presenta delle stringenti affinità con il dramma satiresco di Eschilo, Prometeo attizzatore del fuoco (Promfc07),rappresentato nel 472 a. C.. Qui infatti è un coro di Satiri ad accogliere con danze festose il dono di Prometeo destinato agli uomini: “la benigna gratitudine m’invita a danzare. Getta il tuo splendido mantello presso l’instancabile vampa del fuoco” (Fgr. 153), ma anche “Capro, bada, ti farai male al mento” (Fgr. 156), evidenziando così la diretta derivazione della scena dall’ambito teatrale. Per quanto riguarda la danza dei satiri è stata inoltre proposta un’analogia con le corse in onore di Prometeo: le lampadedromie (Paribeni, 1965).
Silvia Trisciuzzi