01: Prometeo

Titolo dell'opera:   

Autore: Pittore di Arkesilas

Datazione: 565-550 a. C.

Collocazione: Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco (proveniente da Cerveteri)

Committenza: 

Tipologia: coppa laconica

Tecnica: pittura a figure nere

Soggetto principale: il supplizio di Prometeo e di Atlante

Soggetto secondario: 

Personaggi: Prometeo, Atlante

Attributi: aquila, nudità, vincoli, lunga capigliatura (Prometeo); roccia (Atlante)

Contesto:  

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Arias P. E., ad vocem Atlante, in Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, Treccani, Roma 1958, vol I, pp. 882-883; Paribeni E., ad vocem Prometeo, in Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, 1965, vol. VI, pp. 485-486; Dobrowolski, W., Il mito di Prometeo. Il limite tra il cielo e la terra nell’arte etrusca, in “Archeologia Classica”, 43, 1991, pp. 1222-1223; Gisler J. R., ad vocem Prometheus, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Artemis Verlag, Zurich-München, 1994, vol. VII, p. 550

Annotazioni redazionali: La coppa laconica, databile intorno al 560-550 a. C. e conservata al Museo Gregoriano Etrusco, è attribuita al pittore di Arkesilas. La scena, che occupa l’intero catino in un accentuato primo piano, è divisa equamente dai due fratelli Titani, Prometeo e Atlante, ciascuno rappresentato nel momento cruciale del proprio supplizio. Il primo infatti, sulla destra, è avvinto strettamente, collo, mani e piedi, ad una colonna dorica; le gambe piegate fanno sì che il corpo nudo si presenti inarcato, quasi offerto all’aquila che lo tortura: il becco dell’animale è posto all’altezza del fegato da cui stillano delle gocce di sangue che formano una pozza sul terreno. Questa  postura è tipica della tradizione laconica che presenta dei caratteri autonomi: Prometeo infatti è in una posizione quasi distesa, e non accovacciata come si trova generalmente (Cfr. scheda opera 02). Atlante invece è rappresentato nudo, con la schiena incurvata dal peso di un masso decorato con delle stelle che sostiene sulle spalle, allusivo alla volta celeste; il grande sforzo da lui compiuto è sottolineato dal gesto della mano sinistra poggiata sulla schiena. I due fratelli inoltre sono rappresentati con i capelli molto lunghi, ad indicare un supplizio che dura da tempo immemore e per questo attributo tradizionale, insieme alla barba, nelle scene di castigo del Titano. Il fatto che Prometeo sia qui raffigurato imberbe può essere spiegato dalla volontà dell’artista di indicarlo come il minore di età tra i due. Alle spalle di Atlante si trova un serpente che è stato interpretato in diverse maniere: come allusione ad una sorte avversa condivisa dai due fratelli, come indicazione topografica del luogo del supplizio o infine come riferimento all’impresa del giardino delle Esperidi di Eracle, a seguito della quale Prometeo viene liberato dall’eroe. Al di sotto, la linea del suolo è sorretta da una colonna dorica ornata ai lati da fiori di loto stilizzati, probabilmente un riferimento alle teorie sulla piattezza della Terra di Anassimandro di Mileto; potrebbe anche trattarsi di un’allusione alla colonna sostenuta da Atlante secondo una  variante del mito o un ulteriore rimando a quella di Prometeo rappresentata al di sopra (Gisler, 1994). L’iconografia della coppa è estremamente rara proprio per l’accostamento dei due fratelli nel supplizio che, oltre a risalire ad Esiodo che nella Teogonia (Promfc02) ricorda i diversi supplizi dei fratelli di Prometeo prima di introdurre le vicende di quest’ultimo, potrebbe essere portatore di un ulteriore significato. I due infatti sono collocati nei punti estremi della Terra, Atlante ad Occidente e Prometeo ad Oriente e ne segnano quindi i confini, ma sostengono anche la volta celeste; è stato notato infatti come una linea continua si spieghi dal masso sostenuto da Atlante fino a dietro la testa di Prometeo. Inoltre il particolare della colonna a cui è avvinto Prometeo è stato ricondotto alla Teogonia di Esiodo in cui si legge che il Titano fu legato da lacci indissolubili nel mezzo di una colonna e proprio questa fonte stabilisce per prima il ruolo di separatore dei due ambiti, terrestre e divino, per mezzo dell’inganno della spartizione del bue, per poi in un certo senso riunirli, o almeno creare una comunicazione, attraverso l’istituzione del sacrificio rituale (Dobrowolski, 1991, pp. 1221-1227).

Silvia Trisciuzzi