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1553

LODOVICO DOLCE, Le Trasformationi, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, In Venetia 1553, pp. 4-5

E nacque l’huom, mirabile, e dotato

(Quel, che lo fa immortal) de l’intelletto;

O pur che del divin seme formato

L’havesse quel primier Santo Architetto;

Che creato, diviso,e ordinato

Hebbe l’immenso alto lavor perfetto;

O, che la nuova terra le semente

Tenea del ciel, con cui fu primemente.

 

Laqual trovando alhor atta e disposta,

Mescolandovi l’acqua, ad ogni forma,

Prométheo questa massa hebbe composta,

Come Scultor, che nuova  statua forma.

E, se questo piu a favola s’accosta,

C’habbia di verità segno ne forma;

Sappiate, ch’altro scrisse, et altro intese,

Chi primo fu, che tal soggetto prese.

 

Cosi di vil terren fe l’huom gentile

Prométheo, di là sù l’esempio tolto:

E dandogli sembiante a Dio simile,

Volle, che dritto al ciel tenesse il volto:

Dove ogni altro animal; si come vile;

Chino la terra a rimirar è volto.

Cio fece a fin, ch’ei conoscesse a pieno,

Ch’esser dovea sua patria in quel sereno.

 

La Dea, ch’amar i chiari ingegni suole

Menò Prométheo a la celeste sede:

Et da le ruote de l’eterno Sole

Furando’l foco, a noi rivolse il piede.

Con cui l’audace a la sua nova prole

(Che prima non l’havea) l’anima diede.

Cosi’l foco qua giù, ch’alhor non v’era,

Primo portò da quella ardente sfera.

 

Per questo Giove sopra l’erta cima

Del gran Caucáso, monte incolto e fiero,

Legar fece Prométheo havendo prima

Fatto di punir vario pensiero.

E un’aquila, che’l cor gli rode e lima

(Che sempre è cibo, onde si pasca, intero)

Gli mandò sopra: e a perpetua pena

Vel tien legato ogn’hor salda catena.

 

Poscia rivolto al suo fedel Vulcano,

Comandò, ch’una Donna egli formasse:

E fatta lei con la sua dotta mano,

Subit inanzi a lui l’appresentasse.

Tosto l’antico fabbro Siciliano

D’acqua e di fango la materia trasse.

Forma la Donna, e appresenta quella

A Giove, che le diè spirto e favella.

 

E chiamando gli Dei, comanda loro,

Ch’ogniun di qualche do largo le sia.

Bel viso, occhi lucenti, e chiome d’oro

Le diè Vener, le Gratie Leggiadria.

Pallade saper far ogni lavoro:

E questo assai bastato le saria.

Ma Mercurio le diè fraude e malitia,

Di cui tutte le Donne hanno divitia.

 

In fine e’ non fu Dio, ne Dea, ch’alhora

Non facesse a costei ricco presente.

Ond’ella sortì nome di Pandora

Pe i don, che le si fer si largamente.

Giove le diè prudenza; e diede ancora

Un’ampio vaso a lei d’oro lucente:

E comandò, ch’al mondo lo recasse,

E tosto ad Epimétheo lo donasse.

 

Mercurio ad Epimétheo la condusse,

Che poi scordato del consiglio buono

Di Prométheo, qual semplice, s’indusse

Ad accettar l’esitiabil dono.

E per veder quel, che nel vaso fusse,

Pose ogn’altra sua cura in abandono:

Lui, senza porvi indugio, discoperse;

Onde poscia ogni mal nel mondo emerse.

 

ALLEGORIA

La creatione del mondo descritta da Ovidio poeticamente, non è molto differente da quella, che pongono le  Sacre lettere: senon in quanto tenevano gli antichi Filosofi, che da una prima materia fosse derivata la origine de gli Elementi; e noi per cosa verissima habbiamo, che Iddio creò il tutto in virtù della sola parola. L’età dell’Oro si puo attribuire allo stato innocente del primo homo: le seguenti dimostrano, come il mondo andò sempre peggiorando. Per Prometheo intendesi la providenza e sapienza di esso Dio.