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205-270 d.C.

PLOTINO, Enneadi, IV, 3, 14

Testo tratto da: Plotino, Enneadi, traduzione di Radice R, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2002

Con tutto ciò, il nostro mondo, che già non manca di innumerevoli luci, ora brilla anche per effetto delle anime. Si aggiungono, così, ornamenti  a ornamenti, provenienti ora dall’una ora dall’altra fonte: tanto da quegli dèi, quanto dalle intelligenze che elargiscono le anime. E’ possibile che proprio a questo alluda il mito di Prometeo, il quale narra che quando Prometeo plasmò la sua donna, anche gli altri dèi vi aggiunsero i loro ornamenti. Così “fecero un impasto di terra e acqua”, le diedero voce umana, la resero nella forma simile alle dee. Anche Afrodite non fece mancare il suo dono, e neppure le Grazie e ogni altro dio, ciascuno a suo modo. Così, dal fatto che ognuno l’aveva omaggiata di un dono, trasse il suo nome <Pandora>: proprio tutti, infatti, avevano portato un regalo a lei che era stata modellata dalla Provvidenza. Ma il fatto che Epimeteo avesse rifiutato il dono di Prometeo, che altro vuole indicare se non che la scelta di restare nel mondo intellegibile è migliore? D’altra parte, anche colui che ha dato forma alla donna è in catene, ossia è in qualche misura in congiunzione con la sua creatura, e questo è tale da costituire un legame che viene dal di fuori. In tal senso, la liberazione operata da Eracle significa che egli dispone della forza sufficiente a riacquistare la libertà. Certo, ognuno può farsi l’opinione che vuole di questo mito, però non si può negare che esso parli dei doni concessi al mondo, e che sia in piena sintonia con quanto si è fino a questo momento esposto.