VII sec. a.C.
ESIODO, Teogonia, vv. 507-616
Traduzione tratta da: Esiodo, Opere, a cura di Colonna A., Utet, Torino 1977
Giapeto condusse sposa la vergine Oceanina dalle belle caviglie, Climene, e salì sul letto nuziale; ella gli generò il figlio Atlante dal forte animo, e partorì quindi Menetio dalla gloria imperitura, e Prometeo versatile, dagli scaltri pensieri, ed Epimeteo senza alcun senno, il quale fin dall’inizio divenne il malanno degli uomini che mangiano il pane: egli infatti fu il primo che accolse come sposa la vergine plasmata da Zeus. Quindi Zeus onniveggente spinse nel fondo dell’Erebo il tracotante Menetio, avendolo colpito con il fulmine fuligginoso, a causa della sua insolenza e del suo tracotante vigore. Atlante invece, sotto un duro destino, stando ai confini della terra di fronte alle Esperidi dalla voce armoniosa, sostiene l’ampia volta del cielo con la sua testa e le infaticabili braccia: questa sorte infatti a lui assegnò il saggio Zeus. Ed egli legò Prometeo dai molti espedienti con lacci indissolubili, in dure catene, sospendendolo a mezzo di una colonna; e incitò contro di lui un’aquila dalle larghe ali, che gli rodeva il fegato immortale; e questo cresceva durante la notte tanto, quanto durante il giorno intero ne divorava l’uccello dalle larghe ali. L’aquila a sua volta fu uccisa da Eracle, il figlio valoroso di Alcmena dalle belle caviglie, il quale strappò il figlio di Giapeto da questo malvagio supplizio e lo liberò dai tormenti, non senza la volontà dell’Olimpio Zeus che regna nell’alto, per la quale la gloria di Eracle Tebano si doveva accrescere sempre più sulla terra nutrice di molti. Tali disegni invero rispettando Zeus teneva in onore il figlio suo illustre; e quantunque adirato mise fine al suo sdegno sorto per il fatto che Prometeo contrastava il figlio di Crono dall’eccelsa potenza.
Difatti nel tempo in cui gli dèi e gli uomini mortali decidevano una contesa a Mecone (Sicione), allora Prometeo pose innanzi a loro e divise in parti con animo benevolo un bue di notevole mole, cercando d’ingannare il pensiero di Zeus: per l’una delle due parti egli pose infatti le carni e le viscere piene di grasso, sotto la pelle; per l’altra invece preparò con astuto artifizio delle bianche ossa di bue, nascondendole sotto il bianco grasso. Fu allora che a lui disse il padre degli uomini e degli dèi: “O figlio di Giapeto, illustre fra tutti i sovrani, come hai diviso le parti in modo iniquo!”. Così parlò Zeus, cosciente di consigli immortali, rimproverandolo; e a lui così rispondeva Prometeo dai tortuosi pensieri, con un lieve sorriso, non dimenticando la sua scaltra beffa: “O Zeus, il più illustre, il più grande degli dèi sempiterni, prendi dunque quella delle due parti, che il cuore ti comanda nel petto!”. Così disse, meditando l’inganno; ma Zeus, sapiente di eterni consigli, sapeva bene, né ignorava quell’inganno, e presentiva nell’animo le sciagure per gli uomini mortali, che egli era sul punto di infliggere. Così egli con entrambe le mani sollevò il bianco grasso, e si adirò nel suo animo, e la rabbia gli giunse nel cuore, appena vide le bianche ossa del bue preparate per l’astuta beffa – e da quel giorno sulla terra le stirpi degli uomini bruciano le bianche ossa delle vittime sopra gli altari odorosi d’incenso -. A Prometeo quindi, assai sdegnato, così parlò Zeus adunatore di nembi: “O figlio di Giapeto, sapiente nei consigli più di tutti, tu, mio caro, non hai davvero dimenticato la tua ingannatrice scaltrezza”. Così parlò nel suo sdegno Zeus sapiente di consigli immortali. Da quel momento in poi, memore sempre del suo rancore, non concesse più agli uomini mortali, che hanno dimora sulla terra, la possa del fuoco infaticabile per mezzo dei frassini; però lo trasse in inganno il valente figlio di Giapeto, rubando in un cavo ramo di ferula la scintilla che si vede da lungi dell’infaticabile fuoco; in tal modo egli morse nel profondo del cuore Zeus altitonante, il quale si adirò nell’animo suo, quando vide tra gli uomini la scintilla del fuoco che splende da lungi. E senza indugio egli in cambio del fuoco apprestò un malanno per gli uomini; difatti l’inclito Ambidestro plasmò con la terra un essere simile ad una vereconda fanciulla, per volontà del Cronide; la dea Atena dagli occhi lucenti le dette il suo cinto e la ornò di una candida veste, e dal capo le fece scendere con l’arte delle sue mani un velo riccamente lavorato, meraviglia a vedersi; quindi attorno alla testa Pallade Atena le pose amabili corone fatte di freschi fiori di prato, e intorno al capo le cinse una corona di oro, che lo stesso inclito Ambidestro aveva fatto, modellandola con le sue mani, per far cosa grata al padre Zeus. In essa egli aveva cesellato molte figure, meraviglia a vedersi, di strani animali, terribili, quanti nutre la terra e il mare: ne aveva inciso un gran numero – e su tutte spirava la grazia -, fonte di meraviglia, tali e quali ad esseri vivi.
Quando dunque egli ebbe plasmato, invece di un bene, questo splendido malanno, la condusse là dove stavano gli altri dèi e gli uomini, superba dell’ornamento donatole dalla dea dagli occhi splendenti, figlia del valoroso padre. E meraviglia prese gli dèi immortali e gli uomini mortali, quando videro l’arduo inganno, senza rimedio per gli uomini. Da lei infatti proviene la stirpe delle donne delicate [da essa infatti proviene la stirpe funesta e la razza delle donne], sciagura grande per i mortali, le quali abitano insieme con gli uomini, assidue seguaci non della esiziale Povertà, ma della Sazietà. Ed invero come quando le api nelle chiuse arnie alimentano i fuchi, esperti solo di cattive opere – mentre alcune di esse per l’intero giorno fino al calare del sole, un giorno dopo l’altro si affrettano a deporre la bianca cera, i fuchi invece restando dentro i coperti alveari raccolgono per il loro ventre il frutto della fatica altrui -, allo stesso modo Zeus altitonante ha fatto per gli uomini mortali le donne come malanno, esperte solo di opere malvage, e vi ha aggiunto un altro malanno ancora, al posto di un bene. Quegli invero che fuggendo le nozze e le opere moleste delle donne non ha volontà di sposarsi, giunge alla molesta vecchiaia, con la mancanza di uno che l’assista nell’età tarda; egli vive non certo bisognoso del vitto, ma quando muore la sua ricchezza se la dividono i suoi lontani parenti. Al contrario, colui che ha avuto il destino delle nozze, ed ha preso una buona moglie, saggia nell’animo suo, in tutta la sua vita egli compensa il male col bene; quando invece va a sbattere su una donna di stirpe malefica, egli vive avendo nel petto un’angoscia costante, nell’animo e nel cuore, e senza rimedio è il suo male. Così non è dato frodare il pensiero di Zeus, né trasgredirlo. Nemmeno infatti il figlio di Giapeto, il benefattore Prometeo, riuscì ad evitare il grande sdegno di lui; ma soggiacendo al destino, pur essendo molto saggio, una grave catena lo stringe.