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1553

LODOVICO DOLCE, Le Transformationi, In Venetia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1553, Canto Secondo, pp. 28-29

 

Per gl’incolti d’Arcadia e freddi monti

Fra le belle Hamadriadi andar solea

Spesso a diporto una Ninfa de’ fonti,

Che da loro Siringa si dicea,

DI tal bellezza, ch’a seguirla pronti

Erano i piè d’ogn’un, che la vedea.

Ma in boschi, in colli, e’n solitari piani

Schernì più volte i Satiri, e i Silvani.

 

Perche tenendo ogn’altra cosa a vile

S’era data a la Dea del casto coro;

Et era si di volto a lei simile,

Che differenza non v’havea tra loro:

Sol gli archi la potean far dissimile,

Il suo di corno, e quel di Delia d’oro.

Con tutto cio la somiglianza spesso

Solea ingannar e l’uno e l’altro sesso.

 

La vide un giorno Pan, mentre ritorno

Facea del suo Liceo, per rio destino,

Cingendo il crine una ghirlanda intorno,

Ch’egli intessuta havea d’acuto Pino.

E come gli occhi nel bel viso adorno

Fermò, tosto ritenne il suo camino.

Si ritrovò prigion, che non s’accorse,

E lo strale d’Amore nel cor gli corse.

 

E con parole di dolcezza piene

Da intenerir tutti i più duri cori,

La prega haver pietà de le sue pene;

E dice, ch’era Pan Dio de’ pastori.

Ma qui a Mercurio far punto conviene

Di Pan tacendo i mal graditi amori;

Com’ella a quel pregar caldo e infiammato

Mostrò sorde l’orecchie, e’l cor gelato.

 

E pel bosco a fuggir ratto si pone

Con faccia smorta, e con tremante petto;

E giunge a un fiumicel detto Ladone,

D’acqua tranquilla, e d’arenoso letto:

e mentre al corso suo l’onda d’oppone,

La bella Ninfa con dolente affetto

Le sorelle pregò, che la sua forma

Cangiasser per pietate in altra forma.

 

Questo restava a dir, e come Pane

Giunse Siringa, e con le braccia cinse;

e Credemdo abbracciar le membra humane;

Palustri canne inaveduto strinse.

Ne potendo acquetar le voglie insane,

Si che l’accese Amor, quando lo vinse.

Mentre sospira, in lor ferendo il vento

Ne formò lieve e flebile concento.

 

Restava ancor, come il Silvestre Dio

Per suo conforto in quell’effetto amaro

Le cannuccie con cera insieme unio,

E ne compose un’istrumento raro,

Che Siringa da lei, che mal seguio,

Disse, e Sampogna poi glialtri nomaro.

Questo Mercurio raccontato havria,

Ma s’aude, ch’intano argo dormia.