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2-8 sec. d.C.

OVIDIO, Metamorfosi, I, 689-712

Traduzione tratta da: Ovidio, Metamorfosi, a cura di Bernardini Marzolla P., Einaudi, Torino 1994, p. 39

 

E allora Mercurio dice: “Sui gelidi monti dell’Arcadia, tra le Amadriadi di Nonacre, c’era una Naiade famosissima che le compagne chiamavano Siringa. Più di una volta era riuscita a sfuggire alle insidie dei Sàtiri e dei tanti dèi che vivono nelle selve ombrose o nella fertile campagna. Seguace di Diana, la dea di Ortigia, si era votata anche alla castità. E vestiva anche alla maniera di Diana, tanto che c’era da confondersi e da scambiarla per la figlia di Latona, se non fosse che lei aveva un arco di corniolo, mentre l’altra ha un arco d’oro. Malgrado questo, ci si confondeva lo stesso. Pan vide costei che tornava dal colle Liceo, e, col capo recinto di ispide fronde di pino, le disse queste parole…”. Restava da riferire le parole e raccontare come la ninfa, sorda alle preghiere, fuggisse per le forre finché non giunse al placido, sabbioso fiume Ladone; e come qui, impedendole il fiume di proseguire la corsa, pregasse le acquatiche sorelle di trasformarla; e come Pan, quando credeva ormai di averla presa, stringesse al posto del corpo di Siringa, un ciuffo di canne palustri, e si mettesse a sospirare: e allora l’aria vibrando dentro le canne produsse un suono delicato, simile a un lamento, e il dio incantato dalla dolcezza di quella musica mai prima udita disse: “Ecco come continuerò a stare in tua compagnia!”, e saldate tra loro con cera alcune cannucce di diseguale lunghezza, mantenne allo strumento il nome della fanciulla: Siringa.