III sec. a.C.
TEOCRITO, Poesie figurate, La Siringa*
Di Nessuno consorte e del Lontano combattente madre
generò l’agile guida della balia del vice-pietra,
non il Cornuto che un giorno la figlia-di-toro nutrì
ma per chi un tempo bruciò il cuore della senza-pi estremità
di scudo.
Tutto di nome, duplice, che desiderio della parti-prola
fanciulla aveva, la nata-dalla-voce-ventosa;
che alla Musa ghirlanda-di-viole fissò un’acuta
fistola, monumento del desiderio crepitante-al-fuoco;
che spense la tracotanza omonima
del nonnicida e la scacciò dalla Tiria;
a cui dei porta-ciechi questo amabile
possesso offrì Paride-Simichida.
Di ciò l’animo tuo, monta-mortali,
assillo della donna di Saetta,
figlio-di-ladro, figlio-d’ignoto
piedi-d’arca, rallegrando,
canta dolcemente
per la ragazza pesce,
Bella-voce,
invisibile.
*Questo epigramma, di paternità contestata, allude al dio Pan, cui l’autore Teocrito offrirebbe una siringa, e vuol suggerire proprio la forma di una siringa a dieci canne per mezzo delle dieci coppie dattiliche digradanti, con successivi decrementi di mezzo piede, dall’esametro fino al diametro catalettico. Ciascun verso della coppia andrà collocato su una delle facce opposte della canna, sicché la sequenza sarà leggibile solo rigirando fra le mani l’ipotetica siringa.