1561
Giovanni Andrea dell’Anguillara, Delle Metamorphosi d’Ovidio, Libri VIII. Libro I, 168-173; 182-187; 194-198
168
così la Dea ben curiosa ottenne
Quel don che tanto travagliata l’ave:
Né però tolto quel timor le viene,
Che l’imprime nel cor cura sì grave;
Anzi tal gelosia nel cor ritiene,
Che novi inganni e novi furti pave;
Onde dié il don, che sì l’accora e infesta,
In guardia ad un ch’avea cent’occhi in testa.
169
Argo avea nome il lucido pastore,
Che le cose vedea per cento porte.
Gli occhi in giro dormian le debite ore,
E due per volta avean le luci morte;
Gli altri, spargendo il lor chiaro splendore,
Tra loro divisi fean diverse scorte;
Altri avean l’occhio alla giovenca bella,
Altri intorno facean la sentinella.
170
Ovunque il bel pastor la faccia gira,
C’ha di sì ricche gemme il capo adorno,
Alla giovenca sua per forza mira,
Perch’egli scuopre ancor di dietro il giorno;
Né gli é d’uopo, s’altrove ella s’aggira,
Voltar per ben vederla il capo attorno:
Ché, se ben dietro a lui si parte o riede,
Dinanzi agli occhi suoi sempre la vede.
171
Lascia che pasca il dì l’erbose sponde,
Che sparte son nel suo patrio regno;
Acque fangose, ed erbe amare e fronde
Le sue vivande sono e ‘l suo sostegno.
Ma, come il sol nell’Ocean si asconde,
Argo le gitta al collo il laccio indegno;
E le sue piume son, dove la serra,
la non ben sempre strameggiata terra.
172
Talvolta l’infelice apre le braccia
Per abbracciar il suo nuovo custode;
Ma col piede bovin da sé lo scaccia,
Né man può ritrovar ande l’annode.
Pregar il vuol che d’ascoltar gli piaccia.
Ma, come il suo muggire orribil ode,
Scorre di qua, di là tutto quel sito,
Fuggendo se medesima e ‘l suo muggito.
173
Dove la guida il suo pastor, soggiorna,
Pascendo l’erbe fresche e tenerelle;
Alle paterne rive un di’ ritorna
Dove giocar solea con le sorelle;
Ma, come le sue nove altere corna
Mira nell’acque cristalline e belle,
S’adombra tutta, e si ritira e mugge,
E mille volte si specchia, e fugge.
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182
Mentre il misero vecchio ancor si duole,
E tutte la sue pene in un raccoglie,
Lo stellato pastor, che la rivuole,
Presente il padre, la rilega e toglie,
E per diversi pascoli, ove suole
Condurla spesso, la rimena e scioglie.
Egli in cima d’un colle fa soggiorno,
Che scopre la foresta intorno intorno.
183
Giove non vuol, come ben grato amante,
Ch’in si gran mal l’amata sua s’invecchi;
Onde al suo figlio e nipote d’Atlante
Commette che contra Argo ir s’apparecchi;
E, perche’ non sia più sì vigilante,
Vegga di tor la luce a tanti specchi.
Tosto ei la verga e l’ali e ‘l pileo appresta
Alle mani ed à piedi ed alla testa.
184
Lasciata l’alta region celeste,
Nella parte più bassa se ne venne;
Dove giunto, mutò sembiante e veste,
E lasciò il suo cappel, lasciò le penne.
Per far dormir le tante luci deste
Sol la potente sua verga ritenne;
E dove è quel pastor, il cammin prese,
Che ‘n capo tien tante favelle accese.
185
Come rozzo pastor gli erra da canto,
Che alle fresche erbe il suo gregge ristora;
E con le canne sue sì dolce canto
Rende, che n’addolcisce il ciel e l’ora.
Or l’occhiuto pastor, che l’ode intanto,
Di sì soavi accenti s’innamora,
E dice a lui: Qui meco venir puoi,
Ch’avrem grata erba ed ombra il gregge e noi.
186
Il canuto Dio fa tutto quel che vuole
L’avveduto custode e circospetto;
E col suon dolce e le sagge parole
Cerca d’addolcirgli il senso e l’intelletto.
D’Argo molti occhi han già perduto il sole,
E forza è che stian chiusi a lor dispetto;
Ma molti ei ne tien desti e li ritarda,
E con quei vegghia, e la giovenca guarda.
187
Mentre in parte discorre e in parte sogna;
E non dà noja al discorso il sognare,
Col pensier desto di saper agogna,
E il pastor prega che voglia contare
Come fu ritrovata la sampogna
Che sì soavemente ei sa sonare.
Disse quel Dio, cantando in dolce tuono,
Facendo pausa al suo cantar col suono:
(………)
194
(…..)
Dovea dir queste con molte altre cose
Mercurio intorno a questo scambiamento;
Ma perchè già tutte le luci chiuse
In Argo scorse, il suo parlar conchiuse.
195
Dalla sampogna il suono, e la favella
Dalla sua lingua subito disgiunge;
Con maggior sonno poi gli occhi suggella,
Che con la verga sua toccando aggiunge.
Sfodra la spada sua lucida e bella,
E dove il capo al collo si congiunge,
Fere e tronca la spada empia e superba,
E macchia del suo sangue i fior e l’erba.
196
Argo, tu giaci, e ‘l gran lume che avevi
In tanti lum, in un sol colpo ti fiura;
Tanti occhi, onde vegghiar sempre solevi,
Perpetuo sonno or t’addormenta e tura;
E’l dì che più d’ognun chiaro vedevi,
Una infelice e trista notte oscura;
Solo una man con tuo gran danno e scorno
T’ha tolto i lumi, la vigilia e ‘l giorno.
197
Ma la gelosa Dea,che gli occhi a terra
Chinava spesso al suo fido pastore,
Quando il vide giacer disteso in terra,
E’l capo tronco senza il suo splendore,
e ch’empia morte quei bei lumi serra,
I quai soleano assicurarle il core;
Dal morto capo quei cent’occhi svelle,
E fa le penne al suo pavon più belle.
198
empie di gioje la superbe coda
Del suo pavone, e gli occhi che distacca
Dal capo tronco, ivi gl’imprime e inchioda,
E con mirabil arte ve gli attacca.
(…..)