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458-456 a.C.

Eschilo. Prometeo incatenato.

 

TERZO EPISODIO

(Una fanciulla di viso bellissimo, ma deturpato da due corna di giovenca,

si lancia tra le rupi con folli balzi, e si ferma davanti a Prometeo)

IO:

   Dove sono? fra che genti? Costui

   che legato ai dirupi vegg'io,

   esposto ai rigori del cielo,

   chi sarà? Questa pena ferale

   per quale misfatto patisce?

   Or tu dimmi in che parte del suolo,

   o me misera!, errando sono giunta.

   (È assalita da piú fiero delirio)

   Ahimè! Ahimè!

   Misera me! L'assillo ancor mi punge!

   Lo spettro io veggo, ahimè!, d'Argo terrigeno,

   del pastor dai mille occhi! O Giove, salvami!

   Egli s'avanza! M'affascina l'occhio

   cui neppur morto la terra nasconde.

   Ma come un cane. surgendo dagli inferi,

   me sciagurata sospinge, e digiuna

   lungo le sabbie del pelago incalza.

 

(*****)

 

Ma il freno

   di Giove a ciò lo costringeva a forza.

   E la mia forma e la mia mente subito

   si sconvolsero, e quale or mi vedete,

   irta di corna il capo, e dall'acuto

   pungiglio spinta d'un assillo, ai rivi

   dolci di Cernèa giunsi, alla fontana

   di Lerna, in folli balzi io mi lanciai.

   E tutto pien di zelo Argo seguiami,

   terrigeno bifolco, e vigilava

   coi suoi cent'occhi, dietro ogni mio passo.

   Vita gli tolse un improvviso fato:

   ed io, punta dall'estro, e dalla sferza

   divina, errando vo' di terra in terra.