49: Giove ed Io

Titolo dell’opera: Argo, Io e suo padre Inaco

Autore: Filippo Lauri (1623-1694)

Datazione: 1671-1673

Collocazione: Roma, Palazzo Borghese

Committenza: Giovan Battista Borghese

Tipologia: dipinto

Tecnica: affresco

Soggetto principale: Inaco scopre la metamorfosi di Io

Soggetto secondario: Io prigioniera di Argo

Personaggi: Argo, Inaco, Io

Attributi: bastone (Argo)

Contesto: paesaggio all’aperto

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Fumagalli E., Palazzo Borghese, Committenza e decorazione privata, De Luca, Roma 1994, pp. 69 e 71-74; Impelluso L., Eroi e Dei dell’antichità, Electa, Milano 2003, p. 188

Annotazioni redazionali: Il tondo con Argo, Io e suo padre Inaco fa parte del ciclo pittorico affrescato da Filippo Lauri all’interno di Palazzo Borghese a Roma su commissione di Giovan Battista Borghese. L’episodio scelto, da apporre come elemento decorativo sulle pareti di una sala del maestoso palazzo, vanta il privilegio dell’esclusività iconografica: generalmente gli artisti che hanno avuto modo di raffigurare il mito con la storia di Giove e Io hanno unanimemente scelto altri particolari della favola per mostrare la prigionia di Io (ad esempio Mercurio addormenta Argo o Mercurio uccide Argo). Il medaglione presenta all’osservatore il momento in cui Io, una volta trasformata in giovenca da Giove e sottoposta da Giunone alla custodia del pastore Argo, comunica al padre/fiume Inaco il suo attuale stato animale. Il momento drammatico è così descritto da Ovidio: “Inaco vecchio (mentre Io è accompagnata al pascolo da Argo) le porge l’erbette divelte dal fiume; ella gli lecca le mani palpando le braccia paterne, lagrima e, se le parole potesser seguir la lingua, gli chiederebbe soccorso e direbbe il suo nome e i suoi casi. Non con parole, con segni che scrisse col piè su la polve, diedegli triste la prova del corpo che s’era mutato. Inaco esclama: “Me lasso!” e abbracciando la corna e la testa candida della giovenca che piange, “Me lasso!” ripete. “Figlia, per tutte le terre cercai: non t’avessi trovata! Era più lieve il dolore! Tu taci né punto rispondi alla mia voce con voce scambievole e solo sospiri profondamente da petto, e, codesto soltanto tu puoi, e alle paterne parole rispondi con alti muggiti! E io che nulla sapevo, ti stavo apprestando le nozze! Prima speravo che mi dessi tu il genero, poi i nipoti! Ora tu avrai il marito, la prole or avrai all’armento! Né con la morte finire potrò così grande sciagura: nuoce a me l’essere nume: la porta preclusa del fato questo dolore di padre perenna nei secoli eterni!” Mentre così si doleva, il custode stellato gli spinge lungi la figlia strappandola e a pascere altrove la mena. Quindi va sopra la cime sublime d’un monte da dove stando seduto rivolge lo sguardo da tutte le parti” (Iofc10). Rimanendo fedele al testo del poeta latino, Lauri dipinge Io mentre scrive sul suolo ciò che le è accaduto; Inaco che, con le braccia alzate davanti alla figlia/giovenca, è ritratto in tutto il suo allarme e stupore e Argo che, seduto di profilo alle spalle di Io, sta osservando le mosse fatte dalla giovenca. Inaco è caratterizzato dall’iconografia tipica delle divinità fluviali: un anziano con lunga barba e capelli fluenti. Per una descrizione generale del ciclo si veda la scheda opera 48.

Maddalena Bertolini