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1375-1377

GIOVANNI DEI BONSIGNORI, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, Capitoli XXXI-XXXVI; XXXVIII-XLI

Testo tratto da: Giovanni Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, Edizione Critica a cura di Ardissimo E., Commissione per i Testi di Lingua, Bologna 2001

Fabula de Io, figliuola de Inaco fiume. Capitulo XXXI

Sì come fu divulgata la fama di tanto fatto, come fu de Dafne convertita in albore de lauro, li fiumi de tutte le contrade s’aradunarono insieme ed andaro a consolare il fiume Peneo, padre de Dafne, el quale era sconsolato ed afflitto per la figliola così trasformata, e perciò vediamo le condizioni di Peneo. In Tessaglia è una contrada chiamata Emonia, nella quale è una grande selva chiamata Tempe, che viene a dire in greco “luoco dilettevole”, della qual selva esce el fiume Peneo, padre de Dafne, ed arriva a ppè del monte Pindo con schiumosa acqua, el quale fa grande fummo e nuvoli per la grande caduta ed uscimento ch’elli ha, e trascorre e bagna per le ditte selve, ed odese el suo rumore molto da lunge. Questa era la casa e la stanza del ditto fiume, fatta in modo de spilunga con grandissime pietre, dove el ditto nell’acque. Ed in quello luoco vennero tutti li fiumi de quelle contrade e vennero per consolare. Peneo per la figliuola ch’era deventata arbore, li quali fiumi fuoro quisti, cioè: Sperchio, Eniseo, Rodano, Affrissione e più altri fiumi, li quali, secundo sono menati, vanno in mare, salvo che uno fiume chiamato Inaco. Costui non ci andò perché era renchiuso in una spelonca e con lu suo pianto crescea l’acque; e piangea miseramente per Io, suo figliuola, non sapendo se era viva o morta; ma perché nolla trovava pensava ch’ella fosse morta e pensava che ‘l male fosse ancora molto e più magiore.

Come Io fu convertita in vacca. Capitulo XXXII

Giove staendo in cielo, dice Ovidio che ‘l vidde guardando in questa terra giovane, de cui Inaco faceva lamento, cioè Io, la quale alquanto era dilungata da Inaco suo padre. Onde, sceso che fu Giove in terra, venuto a llei così disse: “O vergene, degna de Give, de’ uscire cosa de che sarà grande fama al mondo, io ti prego che tu domani e cerchi uno luoco occulto, dove noi ne possiamo stare insieme”. Appresso li mustrò un buschetto che stava lì presso, a cui disse: “Non avere paura d’entrare, perciò che’l sole è nel mezzo dì ed illumina onne scuro luoco; ed anco sarai accompagnata da me che so dio. Tu entrarai nelli secreti luochi del busco, e sappi ch’io non so’ dio populare, ma so’ colui che reggo e tengo la bacchetta del cielo e manda le saette e perciò ti prego che tu non mi fuggi”. Questo dicea perch’ella incominciava già a fuggire; e così fuggendo avea passate molte contrade, onde Giove, ciò vedendo, mandò una scurità sopra della terra sì ch’ella non potea vedere dove ella se andasse, e perciò li convenne stare ferma, ed allora Giove con molto diletto li tolse la sua verginità. Stando in tal modo insieme, Giuno, moglie e sorella de Giove, guardando in terra, vidde in certa parte del mondo una oscurità sì come fosse di notte, essendo in tutte l’altre parte chiarissimo dì, onde se meravigliò molto, considerando che quello buio non procedea da nebia de fiume né da fumosità de terra. Ed intrandoli sospetto del marito, comenzò a guardarse intorno, temendo che Giove non fosse sì come era usato; e, non trovandolo nel cielo, disse così: Overo ch’io so’ ingannata, o io m’affatico indarno”. E dito questo, scese del cielo, e venne in terra, e commandò a quella scurità che se dovesse partire; ed allora, sentendo Giove la venuta de Iuno, ed anco el commandamento ch’avea fatto alla scurità, per celare el fallo commesso contra Iuno, sua moglie, convertìo Io in una bella giovenca.

Come Giove donò la vacca a Iuno. Capitulo XXXIII

Iuno intanto giunse e, vedendo quella così bella vacca, domandò Giove e disse: “Deh, dimme de chi fu questa così bella vacca e de quale armento l’hai tu tratta?” sì come ella non sapesse. Giove respunse e disse: “Questa vacca è nata dalla terra” e questo disse acciò che più nol domandasse. Allora Iuno pregò Giove che lli la donasse, onde ello non sapeva che se rispondere, dicendo: “Se io li la dono, io fo male, e s’io li la niego averà sospetto de ciò ch’è stato fatto tra noi”. E la vergognali concedeva de darli e l’amore li facea negare; e certamente la vergogna saria stata venta da l’amore, se non fosse che parea male de negare alla sua parente e moglie uno sì piccolo dono. Ed ancora pensando che Io poteva ritornare nella prima forma, e così stando, si li donò la ditta vacca. Iuno stava in sospetto che Giove non la facesse ritornare nella prima forma.

Come Iuno diede la vacca in guardia ad Argo. Capitulo XXXIV

Iuno avea un suo pastore, el quale era chiamato Argo; costui avea cento occhi a cui Iuno diede la ditta vacca in guardia, e commandòli che infra l’altre guardasse ben questa. Argo comenzò a molestare forte questa vacca la qual, sentendose così molestare, fuggì tanto che arrivò alle ripe del fiume Inaco, suo padre, non ostante che Argo sempre la seguia. Guardando Io per lo lito, reconobbe el padre ed anco le ninfe sue sorelle, le quali la comenzano a llosengare: el padre li dava l’erbe e maravigliavase de questa vacca, vedendola tanto umana e tanto domestica e bella.

Come Io se manifestò al padre. Capitulo XXXV

Mentre che Io stava alle ripe del fiume, in tale maniera incominciò a magiare, perciò che voleva favellare e dire: “O padre, io so’ la tua figliuola”, per la qual cosa la vacca fermò el pede in terra e con l’ogna scrisse sulla rena el suo nome, cioè “Io”. Allora el padre conobbe sì come questa era sua figliuola e com’ella era trasmutata in giovenca, onde incominciò a gridare ed a bracciarla. Ma quando Argo vidde questo andò e gridò contra de Inaco e sì li ritolse la vacca, allora, vedendo Giove sì fatta cosa, ebbe misericordia de Io e ne l’animo suo li perdonò.

Come Giove mandò Mercurio a togliere la vacca ad Argo. Capitulo XXXVI

Giove chiamò Mercurio, nato de Maia, figliuola d’Attalante e disseli: “Figliuol mio, va ed uccidi Argo e vedi modo che tu li tolli quella bella vacca che guarda”. Allora Mercurio scese in terra e trasformòse in forma de pastore, e tolse la zampogna ed andò fine ad Argo, e comenzò a sonare; Argo lo chiamò e pregòlo che li sonasse più che da presso. Mercurio s’apressò e comincò a sonare tanto dolcemente che ad Argo ne venìa sonno; ma intanto li disse ad Argo: “O giovane, io te prego che tu mi dichi come fu trovata cotesta sì bella melodia”. Allora Mercurio rispondendo in tal forma, li incominciò a parlare.

(…)

Come Mercurio tolse la vacca ad Argo. Capitulo XXXVIII

Avendo Mercurio ditte queste parole ad Argo, sì ricomenzò el suono, onde Argo s’adormentò per la dolcezza del suono. Allora Mercurio, vedendo Argo così adormentato, prese un falcione e tagliòli la testa ed appresso lassò Mercurio andare la vacca a sua libertà.

Come Io fu ritornata in donna. Capitulo XXXIX

La vacca andava per lu mondo sì come smarrita, e tanto andò ch’ella se condusse alle ripe del fiume Nilo, cioè in Egitto e, non potendo più oltra andare, pregò Giove che ponesse fine al suo tormento. Allora Giove, volendo aver di lei misericordia, sì andò a Iuno, sua moglie, ed abracciòla e disse: “Io te prometto che, se tu retorni in donna Io, che io mai più con lei non mi ppacciarò”. Allora Iuno fu contenta e sì andò licenziò Io e restituìla in sua propria forma, e così Io remase in Egitto, dov’ella insegno alli egizii de filare e de conciare el lino e fare el panno. E costei fu la prima che trovò lettera in quelle parti, onde dice Ovidio ch’ella fo trasformata in dea, la quale è nominata Isis, la quale è appropriata a santo Isidoro.

Allegoria e decima trasmutazione de Io mutata in vacca. Segnata per J

In questo capitulo l’autore parla assai longo per fare più delettevole el suo parlare e questa poesia ha assai breve moralità. Onde dove dice de llà denanzi delli fiumi, è istoriografo perciò che in Tessaglia è uno fiume chiamato Penneo, nel cui letto s’ aradunavano infiniti fiumi. E dove l’autore dice che andaro per consolare Penneo, ciò non importa altro se non che quando la umidità dell’acqua s’araduna con la terra, allora genera e produce piante ed erbe, onde perde la figliuola, cioè l’acqua, la quale bagna el letto del fiume; poi, quando viene la piovia, li fossati e li riviscelli dentorno gonfiano e scendono alli fiumi grossi a consolarli e restorarli dell’acqua perduta. E dice che dava li officii alle ninfe; ditto è che tanto è a dire “nimpha” quanto che “busso” o “cadimento d’acqua”, onde el fiume dà ll’ordine <e> ‘l modo dell’andamento e del cadimento alle piccole ed alle mezzane parte dell’acqua come debbiano fare el corso loro. Discende Ovidio in altra trasmutazione e dice che a quella adunanza non venne el fiume Inaco, perciò che tenea veduanza della figliuola mutata in vacca. El ditto fiume s’accoglie nelle ditte contrade e per certe balze, le quali se parano a l’andamento, fa de sé un laco e dove che la figliuola de’ andare dritta per lo letto, cioè la chiarezza dell’acqua, non andandoce, remane el letto pasturoso, nel quale se allevano le vacche, e perciò dice la figliola tramutata in vacca. Appresso Giove, dio della sapienza, trasmuta de donna in vacca, coperto de nebbia, a dimostrare che al viso umano le cose divine sono occulte, ed allora peccando semo convertiti in bestie. La vacca è data in guardia ad Argo, che avea cento occhi, “argo” in greco è in nome de “prudenza” e d’“avedimento”; con cento occhi questo è numero perfetto, perciò che è con perfetto vedere, el quale è ingannato da Mercurio, dio della eloquenza, perciò che niuno è tanto savio che dallo ornato e pulito parlare non sia ingannato e colto, ed è lli tolta e furata la vacca, la quale va poi a sua libertà e retorna in donna. Questo demustra quando li omini de questo mondo sono guardati legati e subgiugati per loro per loro impotenza che e lo studio loro ed el bel parlare libera, ed allora sono tornati in donna, cioè divina, che signoreggia la sua propria libertà. (…) Che Mercurio le sonasse -le canne della siringa di Pan-, ciò fu la sapienza e la eloquenza, la quale fa onne sottile intelletto ed onne chiara luce addormentare. En altra forma se dispone la mutazione de Io, per cui se ‘ntende l’uomo e la femina casta, li quali quando fallano sono come bestie, poi che hanno lussuriato, avendo respetto al nobile stato della castità. Vero è che una donna fu chiamata Io, la quale andò molto per lu mondo meretricando; ma Dio, avendo misericordia de lei, la fece astenere da quel peccato. Questa Io peccando era vacca per lu peccato e giva cercando el mondo, entanto che arrivò in Egitto e lì entro in una religione e fu fatta buona donna, cioè de vacca tornata in donna, la quale continuando l’abito fu adorata sì come dea e data a santo Isidoro, perch’elli tenne quel medesimo ordine nella suo vita.

Come li occhi de Argo fuoro mutati in coda de paone. Capitulo XL

Vedendo Iuno morto Argo, sì li rincrebbe assai, ma nol potea adiutare, perciò che uno dio non po’ fare contra l’altro, allora tolse li occhi de Argo e mutòli in coda de paone; e questa maraviglia pose sopra de la vacca, cioè che li puose alla coda, e liberò la vacca ch’ella andasse dove volesse.

Undecima e ultima allegoria delli occhi de Argo. Segnata per K

L'ultima allegoria del primo libro è delli occhi de Argo mutati in penne de paone. Per Argo s’intende l’uomo prudente ed avveduto, el quale se dà alle vanità de questo mondo, overo l’omo mondano, lo quale solo ha cura a le cose mundane . Simelmente intendo per lu paone l’uomo vano, el quale non cura dell’anima sua, ma solo del corpo, sì come fa el paone, el quale con la coda adorna tutto el corpo, ma poi che se guarda alli piedi, cioè como è male fondato per li peccati, se esgomenta e niente li pare tutta l’altra bellezza. E quando andamo cercando le vanità del mondo, allora ci sono tolti da Iuno gli occhi, cioè dallo elemento de l’aire, e perdimo la visione divina e la nostra luce è tramutata in penne e poste sopra della vacca, perché volamo alle vanità e ponemoce sopra le cose bastiali, perdendo el dritto andamento della via de vita eterna.

Della generazione de Mercurio e de Epafo. Capitulo XLI

Tornata che fu Io in donna, remase gravida de Giove, de cui nacque Epafo. (…)