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GIOVANNI BOCCACCIO, De Claris Mulieribus, cap. VIII

Testo tratto da: Tutte le Opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Branca V., Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1988

 

VIII. Iside, regina e dea d’Egitto

Iside, che prima fu chiamata Io, oltrechè famosa regina d’Egitto, fu anche santissima e venerabile divinità di quel paese. Sui suoi genitori e sul tempo in cui visse, c’è dissenso tra storici famosi. Alcuni dicono che fu figlia di Inaco, primo re degli Argivi, e sorella di Foraneo, che regnò -come si sa- al tempo di Giacobbe, figlio di Isacco, altri che fu figlia di Prometeo durante il regno di Forbante argivo (ma questo regno si svolse in tempo molto posteriore); altri, infine, che visse al tempo di Cecrope re d’Atene, o al tempo del re degli Argivi, Linceo.

La discordanza delle opinioni sulla paternità, attribuita in modo diverso da storici illustri, prova che questa donna fu celebre tra le altre del suo tempo e ben degna di ricordo. Del resto, lasciando da parte queste discrepanze tra gli scrittori, io intendo seguire la versione data dai più: ch’ella cioè fu figlia del re Inaco.

I poeti antichi immaginarono che ella piacesse a Giove per la sua bellezza e che fosse stata da lui sedotta; e che poi, per occultare la colpa, il dio l’avesse trasformata in vacca e donata a Giunone che la richiedeva; e che, ucciso da Mercurio il custode Argo, Giunone le avesse messo in corpo l’assillo, facendola giungere, in rapida corsa, fino all’Egitto; e che quivi la vacca avesse ripreso l’antica forma di donna, cambiando, in Iside, il primo nome di Io.

Non diversa la versione degli storici: dei quali, alcuni affermano che la vergine fu sedotta da Giove adultero; e che, dopo aver commesso il fallo, fuggì per paura del padre, imbarcandosi con alcuni dei suoi in una nave, che aveva per insegna una vacca; e che, dotata di ingegno e di coraggio, spinta da passione di regno, navigò, con vento propizio, verso l’Egitto dove si fermò, avendo trovato la regione adatta alle sue esigenze. Non si sa poi come abbia conquistato l’Egitto; ma si suppone con verosimiglianza che vi abbia trovato popoli rozzi ed inerti, quasi del tutto ignari di civiltà e viventi come bruti più che come uomini; e che Iside con gran fatica e industria abbia loro insegnato a coltivare la terra, a seminare e a trasformare in cibo le messi, a suo tempo raccolte.

Ella insegnò inoltre agli uomini, prima nomadi e selvaggi, a raccogliersi in un sol luogo e a vivere civilmente, dopo essersi date le leggi. Inoltre inventò, aguzzando l’ingegno, i caratteri alfabetici, adatti all’insegnamento della lingua parlata dagli abitanti e insegnò il modo di unirli fra loro: scoperta che a me sembra ben più degna di considerazione, trattandosi di donna. Tutte queste attività, per tacere delle altre, apparvero a quegli uomini inesperti così mirabili, che facilmente essi credettero essere Iside non dalla Grecia venuta, ma dal cielo discesa; e perciò le decretarono, ancor viva, tutti gli onori divini. Il suo nume poi -il demonio sa ben ingannare gli ignoranti- assurse a così grande e celebre culto, dopo la morte della donna, che a Roma, già signora del mondo, le fu decretato un grandioso tempio e vi fu celebrato ogni anno un sacrificio solenne, secondo il rito egiziano. Questo culto fallace penetrò poi di là, senza dubbio, nelle regioni dei popoli barbari d’occidente.

Marito di questa donna fu Api, che gli antichi fallacemente credettero figlio di Giove e di Niobe, figlia di Foraneo. Di lui dicono che, dopo aver concesso il regno d’Acaia al fratello Egialeo, regnò trentacinque anni in Argo e poi si ritirò in Egitto, dove regnò insieme con Iside, ritenuto dio, come quella; e fu chiamato Osiride o Serapide. Altri però affermano che marito d’Iside fu un Telegono e che da lui ella generò Epafo, che fu poi re d’Egitto e fu creduto, bensì figlio di Iside, ma avuto da Giove.