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ARRIGO SIMINTENDI, I primi cinque libri delle Metamorfosi d’Ovidio, volgarizzate da ser Arrigo Simintendi da Prato, Favola di Giove ed Io
Testo tratto da: Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate da ser Arrigo Simintendi, a cura di Basi C. e Guasti C., Guasti, Prato 1846-50
Favola di Giove e di Io
Giove avea veduta Io tornante da Inaco suo
padre, e avea detto: o vergine degna di Giove, e
che farai beato non soe cui del tuo matrimonio,
vae all' ombre di questi boschi, o vuoli di quelli
(e aveaglile mostrate amindue) mentre che il sole
era caldo, e era altissimo nell' alto cerchio. Ma
se tu temi d' entrare sola ne' nascondimenti delle
fiere, tu entrerai sicura ne' segreti luoghi de' boschi,
essente iddio tua guardia; e non vile iddio,
ma colui il quale tengo le signorie del cielo
colla grande mano, e che mando le vaghe saette;
e non mi fuggire: però ch' ella fuggia, e
avea già lasciate le pasture lerne, e' campi litei
coperti d' albori; quando iddio coperse l' ampia
terra di grandissima nebbia, e ritenne lei che
fuggia, e tolsele la virginità.
Come Iuno discese del cielo, temendo l' inganni di Giove suo marito.
Intanto Iuno guardò di sopra a mezz' i campi,
e meravigliandosi che le subite nebbie aveano
fatta faccia di notte nel mezzo die, non
pensa che quelle siano di fiume, e non sente
ch' elle siano uscite dell' umida terra. Guardò
d' ogne parte per vedere lo suo marito ove fosse,
sì come quella che molte volte avea trovati
i suoi furti. Lo quale poi ch' ella non trovoe in
cielo, discese dell' aria, e stette in terra, e
comandò che le nebbie si partissono. Giove avea
sentito dinanzi la venuta della moglie, e avea
mutata la figliuola di Inaco in una bella giuvenca.
La vacca ee molto bella: la figliuola di Saturno
loda la bellezza della vacca, avvegna che
mal volontieri, e simigliantemente domanda di
cui ella sia, e di quale armento; sì come s' ella
non sapesse il vero. Giove mentio ch' ella era
nata della terra, acciò che l' autore non sia più
cercato. La figliuola di Saturno domanda costei
in donamento. Giove non sapea che si fare: crudele
cosa gli parea dare colei cui egli amava; e
non darla, parea cosa sospetta. La vergogna
confortava che gli la desse; l' amore lo ne sconfortava.
La vergogna sarebbe istata vinta dall'
amore: ma se la vacca, leggieri dono, fosse
stata negata alla compagnia della generazione e
del letto, già potea non parere vacca. Donata
che fue la p., la dia non lasciò tutta la paura:
temeo Giove, e fue angosciosa per lo furto insino
a tanto ch' ella non l' ebbe data a guardare
ad Argo.
Come Iuno diede in guardia la vacca ad Argo.
Argo avea attorneato lo capo di cento occhi,
e come la volta toccava, a due a due pigliavano
riposo, e gli altri guardavano e stavano fermi
nel loro officio. In qualunque luogo era Io,
quivi ragguardava; e perch' egli fosse volto in
altra parte, sempre avea Io dinanzi agli occhi:
lo die la lascia pascere; e quando lo sole ee
sotto l' alta terra, la richiude, e attornea lo
capresto al non degno collo. Ella si pasce delle
foglie delli arbori, e della amara erba, e disavventurata
ispesse volte giace in su la terra ignuda
in luogo di letto, e bee ne' torbidi fiumi. E
quella umile, quando volle distendere le braccia
ad Argo per chiederli mercè, no trovò braccia;
e sforzandosi di lamentare, mugghiò, e temeo
i suoi suoni; e fue ispaventata per la sua voce;
e venne alle ripe di Inaco, ov' ella solea spesse
volte giocare: e quando ella ebbe vedute le
nuove corna nell' acqua, temeo, e sbigottita fuggio
se medesma. Le serocchie naiade nolla conoscevano,
e Inaco medesmo non conosce chi
ella sia. Ma quella seguita il padre, e seguita
le serocchie, e soffera d' essere toccata, e proferasi
alle serocchie che la guatano. Lo vecchio
Inaco le dava le segate erbe; e quella li leccava
le mani, e dava i basci alle palme del padre;
e non ritiene lagrime; e, s' elle potesse
favellare, domanderebbe aiuto, e direbbe il nome
suo e la disavventura sua. Ma la lettera,
la quale lo piede fece nella polvere in luogo di
parole, appalesò lo tristo dimostramento del mutato
corpo. Lo padre Inaco grida: o me misero!
e avventandosi alle corna della piagnente e bella
giuvenca, raddoppia il dire: o me misero!
O figliuola mia, e non hoe io cercato di te per
tutte le terre? Tu non trovata se' ritrovata; prima
era minore il dolore. Tu taci, e non rendi
risposte a' miei detti; ma solamente meni i sospiri
dall' alto petto; e, non potendo altrimenti
parlare, rimugghi alle mie parole. Ma io ignorante
apparecchiava a te camera di matrimonio;
e la prima speranza ch' io avea di te era d' averne
genero; la seconda, avere nepoti. Ora averai
marito di gregge, e figliuoli di gregge, e
non m' è licito di finire così grandi dolori con
la morte; ma nuocemi d' essere iddio; e la chiusa
porta della morte distende i miei pianti in perpetuale
secolo. Argo, pieno d' occhi, manda via lui
che piangea così fatte cose, e mena in diverse
pasture la figliuola tolta al padre: ed egli si
n' andoe in su uno alto monte, onde, sedendo,
puote ragguardare in ogne parte.
Come Giove mandò Mercurio per uccidere Argo, e come Mercurio l' uccise.
Lo rettore delli dei non puote più sofferire
che Io sostenga tanti mali: chiamoe lo suo figliuolo
Mercurio, lo quale la bella Pleias gli
partorio; e comandagli ch' egli uccida Argo.
Questi sanza dimoranza fece de' piedi ale, e
tolse la verga, che facea sonno, con la potente
mano, e tolse lo cappello. Poi ch' ebbe ordinate
queste cose, lo figliuolo di Giove saltò dalla
rocca del padre in terra; e rimosse lo cappello,
e lasciò le penne, e ritenne solamente la verga.
Con questa, sì come pastore, mena le caprette
per le ville: ebbele raunate appresso ad Argo,
e cantò con strette sampogne. Argo, guardiano
di Iunone, preso per la voce della nuova arte,
disse: chiunche tu se', tu ti puoti riposare
meco in su questo sasso: l' erba non è più
abondevole in alcuno luogo al bestiame; e vedi
l' ombra acconcia a' pastori. Lo nepote di Atlanta
sedeo, e con lunghe novelle ritenne il die
che se ne andava: e cantando, tenta di vincere
colle giunte sampogne gli guardanti occhi. Quelli
combatte per vincere i sonni; e pognamo
che 'l sonno sia ricevuto d' alcuna parte delli
occhi, dalla altra vegghia: e domanda, perchè
la sampogna, e per che ragione sia trovata.
Allora lo dio d' Arcadia disse: nelle fredde montagne,
tralle fanciulle d' Arcadia, fue una bellissima
fanciulla, la quale era chiamata Siringa.
Quella non avea pure una volta iscerniti i satiri,
e gli altri iddei che la seguitavano; ella
ch' abitava nella isola Ortigia, e per la verginità
onorava la dia Diana: e alzata a modo di Diana
ingannerebbe altrui, e potrebbe essere creduta
Diana, se questa no avesse l' arco di corno, e
quella non l' avesse d' oro: e pur così ingannava
altrui. Pan, uno idio della villa, vede costei
tornante del monte d' Arcadia, e dicele cotali
parole: o fanciulla, consenti al volere dello dio
che si vole congiugnere teco. Molte cose li rimaneano
a dire, cioè come la fanciulla, dispregiati
i preghieri, era fuggita per le pianure insino
a tanto ch' ella era venuta al piacevole fiume
Ladone pieno di rena; come quivi impedito
il corso dalle acque, pregò le discorrevoli serocchie
che la mutassono; e come Pan, credendo
avere presa Siringa, tenne le canne del
pantano per lo corpo della fanciulla; e come,
mentre ch' egli sospira, i venti mossi nelle canne
fecioro sottile suono, e simigliante a persona
che si lamentasse: e rimanevagli a dire, come
Pan era preso per la nuova arte, e per la dolcezza
della voce; e, come disse, che non avea
altro consiglio che dire con lei; e come con
così diseguali canne congiunte intra loro tennero
il nome della fanciulla.
Come Mercurio uccise Argo, e come Io per comandamento di Iuno fue menata dalla furia infernale per tutto 'l mondo.
Mercurio, che avea ancora a dire ad Argo
queste cose, vide tutti gli occhi chiusi, e' lumi
coperti per lo sonno: incontanente ritrasse la
voce, e mitigante gl' infermi lumi colla medicinale
verga fermoe il sonno, e sanza indugio
fedio con la ripiegata spada lui che dormia, in
quella parte ove lo capo ee congiunto al collo;
e gettalo insanguinato dal sasso; e macchia lo
rotto scoglio di sangue. O Argo, tu giaci morto,
ed ee spento lo lume che tu avevi tra cotanti
occhi; e una morte prese cento occhi. La
figliuola di Saturno tolse questi, e allogolli nelle
penne del suo uccello; e empiegli la coda di
stellate gemme. E incontanente fue adirata, e
non indugiò lo tempo dell' ira: mise la crudele
furia infernale nelli occhi e nell' animo di Io, p.
di Grecia, e nascosele i ciechi istimoli nel petto,
e cacciolla fuggendo per tutto il mondo. Alla
fine si n' andoe al Nilo; lo quale poi ch' ella
ebbe toccato, poste le ginocchia nella margine
della ripa, si chinoe, e dirizzata con l' arrivesciato
collo, levando quel volto ch' ella poteo
alle stelle, piangendo e lagrimando e mugghiando
con molti suoni, parve che si lamentasse con
Giove, e che lo pregasse ch' egli dovesse finire
li suoi mali.
Come Giove priega Iuno per Io.
Quegli, abbracciante il collo della sua moglie,
la priega, che gli finisca le pene, e ch' ella
lasci ogni paura; e giurale per le paludi stigie,
che costei mai più a lei non sarà cagione
di dolore.
Come Io prese la forma di prima.
Poi che la dia fue raumiliata, Io riprese la
forma di prima, e fue fatta quello ch' ella era
dinanzi: le setole le fuggirono del corpo; le
corna sparirono; la ritondità degli occhi fue
fatta piue stretta, e non mugghiava più; ritornano
gli omeri, e le mani; l' unghia si divise
in cinque diti: niuna cosa rimane di vacca in
quella, se non la bianca forma. La fanciulla,
contenta dello uficio di due piedi, si dirizza; e
temeo di parlare per non mugghiare a modo di
vacca, e con paura dice mezze parole. Ora ee
onorata festereccia dea della turba del Nilo.