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II Secolo d.C.

APULEIO, L’Asino d’Oro, Libro XI, 3

Traduzione tratta da: Apuleio, L’Asino d’Oro, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 1995, pp. 379-381

L’apparizione della Dea

(…) la sua lunga, foltissima chioma, appena ondulata, le discendeva morbidamente giù per il collo divino. Sulla sommità del capo portava una corona intrecciata di fiori di vari colori nel cui mezzo sopra la fronte brillava con una luce chiara un disco che somigliava a uno specchio: era l’immagine della luna. A destra e a sinistra si attorcigliavano delle vipere drizzandosi in alto, e dalla parte di sopra sporgevano spighe di grano. La veste multicolore, intessuta di lino sottile, ora appariva bianca splendente, ora color d’oro come il fiore di croco, ora era di un colore rosso fiammeggiante. Ma soprattutto mi colpiva la vista una tunica nerissima, splendente di un nero lucente, che la avvolgeva tutt’intorno, e risalendo dal fianco destro alla spalla sinistra, fino a formare un nodo, ricadeva poi dal centro con pieghe molteplici verso il bordo inferiore e ondeggiava elegantemente ricadendo in innumerevoli frange e guarnizioni.

Trasparivano, brillando qua e là sparse sul bordo ricamato e nell’ampia superficie del mantello, le stelle, e nel mezzo fiammeggiava la luna piena. E per tutto il bordo di quella bellissima tunica si snodava un intreccio di fiori e frutti di ogni specie. Aveva nella mani oggetti molto differenti: nella destra teneva un sistro di bronzo formato da una sottile lamina circolare con dei fori nel mezzo, trapassati da certe verghette che al triplice movimento del braccio producevano un suono argentino. Dalla sinistra le pendeva un piccolo recipiente d’oro a forma di barchetta  sul cui manico si rizzava un serpente col capo alzato e il collo rigonfio. I suoi piedi divini erano calzati di sandali di foglie di palma, l’albero della vittoria.