
Titolo dell'opera: Apollo e Dafne
Autore: Carlo Maratta
Datazione: 1681 circa
Collocazione: Bruxelles, Musées Royaux des Beuax-Arts
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela
Soggetto principale: Dafne e Apollo
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Dafne, Peneo, Cupido, divinità fluviale e ninfe
Attributi: faretra, aureola (Apollo); dita delle mani in forma di foglie d’alloro (Dafne); urna, corona di foglie (Peneo); urna (divinità fluviale); corone di foglie (ninfe)
Contesto: paesaggio campestre
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.wga.hu/frames-e.html?/html/m/maratti/apollo_d.html
Bibliografia: StechowW., Apollo und Daphne, Studien der Bibliothek Warburg, Leipzig 1932; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 522-523; Catalogue inventaire de la peinture ancien, a cura di Pauwels H., Bruxelles 1984, p. 183; Davidson Reid J.-Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 330
Annotazioni redazionali: L’artista sembra essersi qui concentrato in modo particolare sulla resa del contesto, al centro del quale ha poi inserito la classica scena dell’inseguimento-metamorfosi di Dafne. Egli ha disposto le figure che fanno da contorno ai due protagonisti in gruppi, nella sezione in basso a sinistra del dipinto, ed in secondo piano sulla destra, atteggiandole in modo che contribuissero ad attirare l’attenzione dell’osservatore verso il centro della composizione. Sulla destra vediamo, infatti, due ninfe seminude con corone di foglie sulla testa, delle quali, quella più esterna, sta indicando la scena dell’inseguimento ad un altro personaggio, che non vediamo poiché è tagliato fuori della cornice, e quindi, in maniera indiretta, invita a guardare verso il centro dell’opera; mentre, l’altra, raffigurata di schiena, è girata a guardare cosa stia succedendo a Dafne, e perciò spinge di nuovo lo sguardo dello spettatore in quella direzione; inoltre, vi è un anziano dio fluviale, caratterizzato da un’urna, anch’esso preso dall’episodio che si svolge al centro dell’opera. In primo piano a sinistra, invece, è una ninfa sdraiata, che volta anch’essa la testa all’indietro, verso Apollo e Dafne, e quindi velatamente invita l’osservatore a fare lo stesso; mentre, leggermente più al centro, davanti ai due protagonisti, riconosciamo un altro dio fluviale, seduto di fianco su di un’urna, che si gira bruscamente indietro, verso Apollo e Dafne che avanzano verso di lui, mostrando solamente le spalle e la testa girate, che vuole forse rappresentare quasi un doppio dello spettatore. Questo personaggio, che solleva le braccia verso l’alto, come a cercare di fermare la corsa di Apollo, potrebbe essere identificato con Peneo, che cerca di tenere lontano il dio dalla sua amata figlia, e del resto anche la sua posizione e la sua collocazione lo lascerebbero pensare, giacché Ovidio ci dice che Dafne fu inseguita da vicino da Apollo, finché stremata, giunta in prossimità del Peneo, non implorò il padre di privarla della forma umana affinché potesse tener fede al suo voto di castità. Proprio l’inserimento di questo personaggio, ed il tipo di composizione centripeta, in cui s’inserisce anche il piccolo Cupido, in alto, quasi nascosto tra le fronde di un albero, ad assaporare la sua vittoria sul dio che l’aveva offeso, rendono il dipinto originale rispetto alle altre opere dello stesso periodo, raffiguranti il mito di Apollo e Dafne, giacché la scena centrale non sembra mostrare nessuna particolare innovazione. I contemporanei, invece, dovettero rimanere particolarmente colpiti dall’opera, almeno così sembra dai grandi elogi che espresse Giovan Pietro Bellori, amico del pittore: “La prima e principale azione nella figura di Dafne fu ancora dal pittore ridotta all’unità con tanta proprietà e unione di moti e di affetti, che in un tempo solo s’intende il corso, l’arresto, la trasformazione e la fuga. […] Appresso le considerazioni nelle quali abbiamo riconosciuto con quant’arte il Pittore si sia disgiunto dal Poeta nel medesimo argomento, per formare ottimamente la sua invenzione, resta il vedersi con quanta industria ancora si sia congiunto seco all’espressione della Favola, negli affetti e nell’altre parti. Onde comparandosi insieme i luoghi della Poesia e della Pittura, sarà lode di questa l’aver portato alla vista con i colori, quanto la sua compagna col suono de’ carmi dona all’udito. Descrive il Poeta la velocità di Apolline, il quale correndo al pari della veloce brama raggiunge e soprasta alla fuggitiva:
Ei, che la segue più veloce al corso,
Vien dall’ali di Amor portato a volo,
E senza spazio dar, senza riposo
Sovrasta al tergo già di lei, che fugge.
Quanto bene questi effetti della sequela e della fuga, come abbiamo veduto, siano stati imitati dalla Pittura, si può argomentare prima dalla figura di Apolline, in cui si comprende l’acceso desio di sorprendere Dafne in atto così veloce, che nel distender una mano e nel ritirar l’altra, avvalora il moto per abbracciarla e possederla. Il corso di Dafne fu ottimamente espresso dall’affetto del vento nel velo e ne’ capelli, nel quale convengono ancora la Pittura e la Poesia:
Scosse le vesti incontra all’aura e ’l vento
Le sue nude scopria membra divine,
E dietro all’aure ventilava il crine.
Questi effetti del vento sono doppiamente intesi dalla Pittura, mentre arrestandosi Dafne al corso, si rallentano insieme leggiadramente all’aria le vesti ed i capelli: ove al rapido corso d’Apolline si gonfia agitata indietro la clamide sua fiammegiante. […] L’istessa trasformazione di Dafne descritta dal Poeta viene ancora emulata dal Pittore; quando essa, dopo avere invocato il genitore, stupida si cangia in lauro, e sparge le radici e i rami,
Finito il prego, a lei manca la voce;
Nuovo stupor tutta l’assale, e prende,
Crescion le braccia in rami, e ’l pié veloce
S’appiglia al suolo, e le radici stende.
All’espression dunque di questa Favola con mezzi in parte conformi ed in parte diversi concorron il Pittore e ’l Poeta; e le figure così tratte dall’argomento della Poesia servono efficacemente all’invenzione della Pittura, illustrando il soggetto con successo tanto felice, che da una favola comune ed usitata, il Signor Carlo in adornarla di nuovi fregi, ha saputo trarne un peregrino, che provoca la vista e la lode de’ riguardanti.” Questo brano del Bellori è comunque assai interessante, in quanto ci permette di capire fino a che punto i contemporanei dell’artista fossero in grado di capire le sue scelte e le innovazioni, non solo rispetto alla fonte letteraria presa a modello, ma anche rispetto alla tradizione iconografica precedente: il Bellori ci offre qui una puntuale lettura dell’opera, riportando addirittura i passi del testo ovidiano, secondo lui perfettamente resi dalla pittura del Maratta.
Elisa Saviani