
Titolo dell'opera: La morte di Pitone ed Apollo e Dafne
Autore: Giovanni Antonio Rusconi
Datazione: 1548-1553
Collocazione: Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Gabriele Giolito de' Ferrari, Venezia 1553 (II ed.), f. B2 r.;
Committenza: Gabriele Giolito de' Ferrari
Tipologia: stampa
Tecnica: incisione su legno (xilografia)
Soggetto principale: la morte di Pitone
Soggetto secondario: Dafne e Apollo
Personaggi: Pitone, Apollo, Dafne, Cupido, Peneo
Attributi: faretra, arco (Apollo); mani in forma di rami d’alloro (Dafne); arco (Cupido); corona di foglie, urna (dio-fiume Peneo)
Contesto: paesaggio campestre con fiume
Precedenti: Anonimo incisore venezian, La favola di Apollo e Pitone, e di Apollo e Dafne, in Giovanni Bonsignori, Ovidio Methamorphoseos vulgare, Zoan Rosso, Venezia 1497, f. 7r. (Cfr. scheda opera 26); Anonimo incisore veneziano, Apollo ed il serpente Pitone, Apollo e Dafne, in Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Giacomo da Lecco, Venezia 1522, f. A 8v. (Cfr. scheda opera 38)
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, pp. 252-253; Guthmüller B., Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, p. 266, 270-271; Margiotta A.-Mattirolo A., Il mito di Apollo e Dafne, in Giorgione e la cultura veneta tra ‘400 e ‘500. Mito, allegoria, analisi iconologica, De Luca, Roma 1981, p. 163
Annotazioni redazionali: Si tratta dell’illustrazione alla favola di Dafne realizzata da Giovanni Antonio Rusconi, su commissione dell’editore Giolito, che corredava la traduzione in versi volgari delle Metamorfosi ovidiane realizzata da Ludovico Dolce, pubblicata una prima volta all’inizio del 1553, quindi riveduta e corretta ripubblicata alla fine dello stesso anno. Bodo Guthmüller,in seguito ad una serie di raffronti fra il racconto di Dolce e la corrispondente immagine realizzata da Rusconi, è giunto alla conclusione che le incisioni dovettero essere realizzate prima che la traduzione del Dolce venisse completata, basandosi su delle versioni immediatamente precedenti. Sappiamo, infatti, che il progetto di traduzione da parte del Dolce risaliva al 1548, ma anche che l’autore, occupato da altri lavori, riuscì a consegnarla completa, sotto pressione dell’editore Giolito, soltanto nel 1553: è probabile, perciò, che lo stesso editore, per affrettare i tempi, avesse commissionato in anticipo le incisioni al Rusconi, in modo da averle già pronte per la stampa. Lo studioso, quindi, ha posto in evidenza diversi casi in cui l’incisione del Rusconi sembra basarsi sul racconto dell’Ovidio Methamorphoseos vulgare del Bonsignori e di Tutti gli libri de Ovidio Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar dell’Agostini, piuttosto che sulla traduzione del Dolce. Tuttavia, per quanto riguarda la nostra illustrazione del mito di Apollo e Dafne, non sembra di riconoscervi dei particolari che debbano essere necessariamente ricondotti ad uno di questi testi precedenti, anche perché le varie versioni della vicenda che apparvero dalla fine del Quattrocento in poi non sembrano presentare delle grosse differenze. Risulta, invece, innovativa l’incisione del Rusconi, rapportata a quelle che corredavano le due precedenti versioni volgari del testo ovidiano, soprattutto per quanto riguarda la generale disposizione della scena. Mentre queste ultime, infatti, erano delle incisioni di tipo narrativo, che presentavano in un’unica composizione, non solo miti diversi, ma anche diversi momenti del racconto, disposti secondo una precisa successione, in cui uno stesso personaggio poteva comparire anche più volte, l’incisione del Rusconi sembra invece soffermarsi sull’illustrazione di un momento ben preciso. Nell’illustrazione dell’edizione del 1497, come in quella dell’edizione del 1522, in primo piano riconosciamo, sulla sinistra, Apollo con l’arco che ha appena ucciso il serpente Pitone, e sulla destra, Apollo, di nuovo, che insegue l’amata Dafne, ed è evidente, perciò, che ai due episodi viene conferita la stessa importanza sul piano narrativo; inoltre, in secondo piano, al centro, è anche raffigurata la disputa con Cupido, in cui Apollo si vanta delle sue grandi qualità di arciere per aver appena ucciso il serpente Pitone in confronto a quelle del dio dell’Amore, ed in seguito alla quale quest’ultimo decide appunto di farlo innamorare della ninfa e nello stesso tempo di far rifuggire questa dal suo amore. Nell’incisione delle Trasformationi, invece, Apollo non è raffigurato per tre volte, bensì una sola volta: in secondo piano, infatti, riconosciamo il dio, vestito di una semplice casacca, e non con un’armatura all’antica, con la faretra in vita, e l’arco nella destra, che sta inseguendo Dafne, e cerca di afferrarla allungando la sinistra. La ninfa ha qui ancora un aspetto prevalentemente umano, ed è raffigurata ancora in fuga, mentre la sua trasformazione in albero è appena iniziata, e le dita delle sue mani si sono già allungate come dei rami. Anche in questo caso la giustificazione o spiegazione di tale metamorfosi è stata posta in evidenza dall’artista, con la raffigurazione del fiume proprio davanti a Dafne, ed inoltre sottolineata dalla concreta presenza del dio-fiume Peneo, padre di Dafne, che, prestando ascolto alle preghiere della fanciulla, quasi raggiunta da Apollo, ne favorisce appunto la trasformazione in alloro. In cielo riconosciamo anche qui Cupido, l’artista, tuttavia, non ha qui raffigurato il vero e proprio momento della sua disputa con Apollo, e neppure quello, talvolta proposto in alcune illustrazioni del mito, in cui lo colpisce con la freccia che fa innamorare, bensì ha scelto di porlo come attento spettatore della scena sulle nuvole, in modo tale che la sua sola presenza possa suggerire l’antefatto narrato ampiamente nel testo. Ora, sembra che il Rusconi abbia, invece, voluto riservare quasi tutta la metà destra della composizione, all’enorme cadavere di Pitone, divenuto qui ormai in tutto e per tutto un drago alato. Anche in questo caso non si tratta di una raffigurazione di tipo narrativo, quale poteva essere quella delle due precedenti incisioni, non è la raffigurazione della conclusione del mito di Apollo e Pitone, narrato subito prima di quello di Dafne, e se vogliamo suo antefatto: Pitone è qui già morto, e vuole solo ricordare che la vendetta di Cupido, ed il suo far perdutamente innamorare Apollo di Dafne, fu conseguente alla beffa del dio del Sole, insuperbito dalla sua vittoria sul drago. Indubbiamente la scelta di conferire tanto risalto al personaggio mostruoso di Pitone, è legata alla volontà di accrescere il pathos della scena, e quindi il coinvolgimento emozionale dello spettatore, del resto l’evoluzione nella tecnica incisoria di quest’artista, rispetto ai precedenti esempi, è già evidente nel modo di rendere il panneggio mosso dal vento della ninfa, o nel modo di raffigurare il paesaggio. Per concludere, si possono citare, in riferimento a questa singolare raffigurazione del serpente Pitone, i versi del Dolce, che qui perfettamente si adattano all’illustrazione: “E, perche tosto al fin l’empio venisse,/ e fosse di quel mal libero il mondo;/ di mille e piu saettelo trafisse/ fin che de la faretra apparse il fondo./ Cosi convenne che Pithon morisse/ per man d’Apollo, e giacque il Serpe immondo./ Onde restò gran spatio di terreno/ sparso tutto di sangue e di veleno//”.
Elisa Saviani