46: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Andrea Meldolla, detto Lo Schiavone

Datazione: 1542-44   

Collocazione: Vienna, Kunsthistorisches Museum, già nella Collezione dell’arciduca Leopoldo Wilhelm nel 1659. 

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su legno, 30 x 32,4 cm    

Soggetto principale: Dafne e Apollo    

Soggetto secondario: 

Personaggi: Apollo, Dafne, Peneo

Attributi: mani in forma di rami d’alloro (Dafne); urna, corona di foglie (dio-fiume Peneo)

Contesto: paesaggio campestre con bosco

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Wickhoff H., Les Écoles Italiennes au Musée de Vienne, in "Gazette des Beaux Arts", 1893, I, p. 143; Kunsthistorisches Museum, Katalog der Gemälde Galerie, Vienna 1928, p. 194 n. 202; Venturi A., La Storia dell’Arte Italiana, IX, part. 4, U. Hoepli, Milano 1925, p. 705; Berenson B., Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 520; Berenson B., Italian Pictures of the Renaissance: a list of the principal artists and their works. Venetian School, Phaidon, Londra 1957, p. 162; Richardson F.L., Andrea Schiavone, Clarendon Press, Oxford 1980, p. 189, cat. 322; Davidson Reid J.-Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 327

Annotazioni redazionali: Assieme all’Apollo e Cupido, che mostra l’antefatto di questa raffigurazione, alla Nascita di Giove e al Giove con la Capra Amaltea, che hanno misure corrispondenti, e formato e stile simili, faceva parte della collezione dell’arciduca Leopoldo Wilhelm nel 1659, come opera dello Schiamone: queste quattro tavolette dovevano forse adornare un mobile, poi entrato a far parte della collezione imperiale e smembrato. Fra le incisioni realizzate fra il 1538 ed il 1540, raffiguranti questo mito, il Meldolla sembra qui aver ripreso e migliorato quella in cui aveva dato più spazio alla narrazione e al movimento, ed in cui aveva quindi maggiormente ricalcato l’iconografia tradizionale. Anche in questo caso abbiamo la fusione del momento della fuga di Dafne con quello della sua metamorfosi: Apollo, che qui indossa però una tunica e calzari all’antica, insegue la ninfa di cui si è perdutamente innamorato, per volontà di Cupido, verso destra, e la sensazione del suo essere ancora in movimento viene perfettamente resa dal mantello gonfiato dal vento, e dai capelli scomposti all’indietro. Anche l’abito indossato da Dafne è mosso dal vento, la ninfa perciò, che qui ha ancora i suoi piedi, come nelle Metamorfosi, infatti, la sua trasformazione inizia dalla parte superiore del corpo, è colta mentre sta ancora fuggendo dal dio, tuttavia, essendo giunta in prossimità del fiume Peneo, ed avendo implorato suo padre di aiutarla a non farsi raggiungere da Apollo, sta contemporaneamente già trasformandosi, nelle braccia, in un albero d’alloro, presto rimarrà immobile per sempre, e perderà del tutto l’aspetto umano. Il dio-fiume è qui raffigurato come una figura di vecchio imponente, seduto lungo il margine inferiore destro dell’opera, visto di spalle: egli rappresenta evidentemente la personificazione del fiume Peneo, ed è forse per questo motivo che lo Schiavone ha qui raffigurato Dafne, come se corresse su di una gamba del personaggio, per rendere l’idea che la sua trasformazione avviene solo in prossimità del fiume e per intercessione di quest’ultimo, secondo le parole di Ovidio: “[…] Stremata essa alla fine impallidisce, e vinta dalla fatica di quella corsa disperata, rivolta alle acque del fiume Peneo: “Aiutami, padre, -dice.- Se voi fiumi avete qualche potere, dissolvi, trasformandola, questa figura per la quale sono troppo piaciuta!” Ha appena finito questa preghiera, che un pesante torpore le pervade le membra, il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami; il piede, poco prima così veloce, resta inchiodato da pigre radici, il volto svanisce in una cima […]”. Dal punto di vista stilistico va notato infine come l’artista abbia qui concesso più spazio al paesaggio, ed abbia così realizzato una composizione più ariosa, ed inoltre come le figure siano meno allungate, e più definite nei contorni, quindi più vicine ad uno stile personale dell’artista, indipendente dal modello del Parmigianino. 

Elisa Saviani