38: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo ed il serpente Pitone, Apollo e Dafne

Autore: Anonimo incisore veneziano della prima metà del XVI sec.

Datazione: 1522 circa

Collocazione: Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Giacomo da Lecco, Venezia 1522, f. A 8v.

Committenza:

Tipologia: stampa

Tecnica: incisione su legno (xilografia)

Soggetto principale: Apollo e Pitone, Apollo e Dafne           

Soggetto secondario: Apollo e Cupido

Personaggi: Apollo, Pitone, Dafne, Cupido

Attributi: arco, faretra (Apollo); tronco sulla testa, rami d'alloro al posto delle braccia (Dafne); arco (Cupido)

Contesto: paesaggio campestre con fiume

Precedenti: Anonimo incisore veneziano della seconda metà del XV secolo, La favola di Apollo e Pitone, e di Apollo e Dafne, in Giovanni Bonsignori, Ovidio Methamorphoseos vulgare, Zoan Rosso, Venezia 1497, f. 11r. (Cfr. scheda opera 26

Derivazioni: Giovanni Antonio Rusconi, La morte di Pitone ed Apollo e Dafne, in Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Gabriele Giolito de' Ferrari, Venezia 1553 (II ed.), f. B 2r. (Cfr. scheda opera 51)

Immagini:

Bibliografia: Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 171

Annotazioni redazionali: Il modello stabilito dall’anonimo incisore veneziano nell’edizione delle Metamorfosi tradotta in volgare dal Bonsignori, e pubblicata a Venezia nel 1497 (Cfr. scheda opera 26), venne ripreso non solo nelle riedizioni successive, ma anche in questa trasposizione in versi del testo di Bonsignori attuata da Nicolò degli Agostini nel 1522. Ci troviamo qui di nuovo di fronte ad una composizione di tipo narrativo, che fonde due miti quello di Apollo in lotta con il serpente Pitone, e quello di Apollo, colpito dalla freccia di Cupido, che s’innamora della ninfa Dafne. In realtà, però, del mito di Apollo e Pitone non viene raffigurato in primo piano a sinistra il momento dello scontro, bensì quello conclusivo, in cui il dio si accerta della morte del serpente-drago, che poteva cioè bene adattarsi a fungere da introduzione alla favola di Apollo e Dafne. Secondo una concezione evidentemente più naturalistica, il dio non è qui raffigurato in piedi, immobile accanto al corpo di Pitone morto, abbigliato come un antico soldato romano, indossa piuttosto una semplice casacca, e puntando il suo grosso arco ed il piede sinistro sul corpo del drago, cerca di capire se la freccia, che ha appena scagliato contro il mostro, l’abbia ucciso. Sullo sfondo, al centro della composizione, ritroviamo anche in questo caso il momento successivo del racconto ovidiano, quello del colloquio fra Apollo e Cupido, in cui il dio si vanta per l’impresa che ha appena compiuto, ed ironizza sul fatto che anche Cupido porti l’arco, e possa essere in grado di compiere imprese altrettanto grandi. Forse l’arco sproporzionato, cui Apollo si appoggia in primo piano, è stato raffigurato tale, proprio in vista del successivo diverbio del dio con Cupido, che porta, infatti, un arco più piccolo, ad evidenziare anche dal punto di vista figurativo il carattere dello scontro. Tuttavia, subito dopo l’osservatore era portato a rendersi conto del potere dell’arco e delle frecce di Cupido con l’immagine del potente dio del Sole che, privo delle sue armi, corre dietro ad una fanciulla. Anche in questo caso, non abbiamo una raffigurazione distinta dell’inseguimento e della metamorfosi di Dafne in alloro: Apollo, di nuovo in primo piano, è raffigurato in corsa verso destra, i suoi capelli e la sua veste, infatti, sono mossi dal vento, mentre con il braccio sollevato cerca di afferrare l’amata ninfa; Dafne, invece, giunta nella sua fuga presso la riva di un fiume, si volta verso il dio che sta per raggiungerla, ma ha iniziato ormai a trasformarsi in vegetale, le sue braccia sono già rami e sulla sua testa è cresciuto un tronco, perciò Apollo non potrà mai averla. I momenti salienti del racconto ci sono tutti, ma ciò che sembra evidente rispetto al modello, è un maggiore naturalismo sia nella resa dei corpi, delle muscolature, degli abiti e dei volti dei personaggi, sia nella resa del contesto, un tranquillo paesaggio campestre senza alcun riferimento alla realtà civile e contemporanea, e quindi senza alcun rudere o città sullo sfondo. 

                                                                              Elisa Saviani