
Titolo dell'opera: Apollo e Dafne
Autore: Antonio di Donnino (attr.), o Andrea del Sarto (attr.)
Datazione: 1510 circa
Collocazione: Firenze, Galleria Corsini (inv. 70)
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola, 130 x 144 cm
Soggetto principale: Dafne e Apollo
Soggetto secondario: Narciso alla fonte
Personaggi: Apollo, Dafne, Narciso (?)
Attributi: faretra (Apollo); arco, faretra (Dafne)
Contesto: bosco, con città fortificata su di una montagna sullo sfondo a destra
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Stechow W. , Apollo und Daphne, Studien der Bibliothek Warburg, Leipzig 1932; Zeri F., Eccentrici fiorentini, in "Bollettino d'arte", IV, 1962, 2-3, XLVII, pp. 234-35; Freedberg S.J., Andrea del Sarto, catalogue raisonné, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1963, I, p. 223; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 248; Davidson Reid J.- Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 326
Annotazioni redazionali: Nel catalogo della galleria il dipinto è attribuito ad Andrea del Sarto, anche se già Crowe e Cavalcaselle nel 1914 [VI, p. 194] erano alquanto dubbiosi riguardo tale attribuzione, e ne parlavano come di un possibile lavoro giovanile dell'artista, forse dipinto, come aveva creduto Guinness [1899, p. 93], nel periodo in cui Andrea lavorava nella bottega di Piero di Cosimo. Dopo anni d'incerte attribuzioni, sembra che nel 1962 Federico Zeri abbia definitivamente ricondotto il dipinto alla mano di Antonio di Donnino, allievo del Franciabigio, citato di sfuggita dal Vasari e morto all'incirca nel 1547.Sembra esista anche una variante di questo stesso dipinto, di mano di Domenico Puligo, secondo Venturi [1925, IX, 1, p. 471] e Freedberg [1961, pp. 499-500], nella Collezione Pollen, a Norton Hall, nel Gloucestershire. L'artista ha scelto qui di concentrarsi su di un momento preciso del racconto ovidiano, tralasciando quei particolari narrativi, che largo spazio avevano invece avuto nelle edizioni illustrate delle Metamorfosi. Dafne, è una bella ninfa che ama cacciare, e segue perciò le orme della vergine Diana, decisa a non cedere all'amore, così, appunto, la descrive Ovidio:[...] silvarum tenebris captivarumque ferarum/ exuviis gaudens innuptaeque aemula Phoebes/ [...] nec quid Hymen, quid Amor, quid sint conubia curat [...];.Perciò il pittore ha scelto di ambientare la scena sulla soglia di un bosco, e di caratterizzare la figura di Dafne, più che come semplice ninfa, come cacciatrice, che, alla vista di Apollo, quindi di un uomo, fugge, lasciando cadere il suo arco e le sue frecce. Apollo, invece, è abbigliato come un moderno cacciatore dal cappello piumato, ed in ciò si evidenzia ancora la distanza da un pieno recupero del modello e della forma classica di quest'artista minore, nonostante egli mostri, dal punto di vista stilistico, una piena padronanza del disegno, ed una singolare tecnica coloristica. Dafne, perciò, è colta nel momento in cui inizia a scappare e ad inoltrarsi nel fitto bosco, mentre Apollo si protende verso di lei, come a volerla fermare cercando di elencarle le sue doti e qualità, e di rivelargli che è un dio, e non un cacciatore qualunque. L'artista, in maniera abbastanza originale, sembra qui aver fuso due momenti distinti del mito, raffigurati solitamente separati, della fuga di Dafne e della sua metamorfosi. La ninfa, infatti, ancora prevalentemente d'aspetto umano, sembra in movimento, in corsa verso l'interno del bosco, tuttavia il suo piede sinistro ci appare già fisso nel terreno, in forma di radice, e le dita delle sue mani sembrano già allungarsi in forma di rametti, possiamo, perciò, immaginare che in realtà qui la fuga non avvenga, e Dafne si trasformi piuttosto subito dopo in alloro. Interessante è la scelta dell'artista di fondere due miti diversi in una stessa raffigurazione, ma si può ipotizzare che tale scelta sia stata favorita dalla presenza di una fonte in entrambe i casi: qui, infatti, la vediamo raffigurata, anche se in forma di fontana, al centro del dipinto. Racconta Ovidio che Dafne giunta presso una fonte, nella sua fuga da Apollo, chiede al padre Peneo, dio-fiume, di salvarla, ed è quest'ultimo a favorire la sua trasformazione in alloro; Narciso, invece, specchiandosi in una fonte s'innamora di se stesso, e alla fine muore di consunzione e si trasforma in un fiore. Tuttavia bisogna inoltre ricordare che questi due miti avevano in comune anche la trasformazione dei due protagonisti in vegetali, Dafne in albero d'alloro, Narciso in fiore. Infine, in questo dipinto si evidenzia anche il legame del pittore con una certa tradizione precedente, e con certi stereotipi figurativi, soprattutto nella presenza della città turrita sullo sfondo a destra, e nella scena di battaglia di cavalieri sullo sfondo a sinistra, che risultano estranee al soggetto, o ai soggetti principali della composizione.
Elisa Saviani