29: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Maestro IB e l'Uccello

Datazione: primo o secondo decennio del XVI sec. 

Collocazione:    

Committenza:

Tipologia: illustrazione

Tecnica: incisione su legno (xilografia)

Soggetto principale: Dafne e Apollo

Soggetto secondario: 

Personaggi: Apollo, Dafne

Attributi: faretra ed arco (Apollo); gambe in forma di trono d'albero, mani e capelli in forma di rami d'alloro (Dafne) 

Contesto: bosco con fiume, e città sullo sfondo

Precedenti: Liberale da Verona, Apollo e Dafne, xilografia, fine XV sec. (Cfr. scheda opera 27); Albrecht Dürer (attr.), Apollo e Dafne, xilografia in C. Celtes, Quatuor Libri Amorum, Norimberga 1502 (Cfr. scheda opera 28)

Derivazioni: Agostino Veneziano, Apollo e Dafne, acquaforte, 1515-18 (Cfr. scheda opera 35); Barthel Beham, Apollo e Dafne, acquaforte, 1525 ca. (Cfr. scheda opera 40)

Immagini:

Bibliografia: Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 249; Margiotta A.-Mattirolo A., Il mito di Apollo e Dafne, in Giorgione e la cultura veneta tra Quattro e Cinquecento. Mito, allegoria, analisi iconologia, De Luca, Roma 1981, p. 163

Annotazioni redazionali: Quest'incisione si può collocare sempre nello stesso filone iniziato con l'opera di Liberale da Verona (Cfr. scheda opera 27): egli non ha fatto altro che fissare uno dei tipi più diffusi di raffigurazione del mito di Apollo e Dafne in una determinata forma, quindi una serie di artisti successivi si sono ricollegati ad essa, variandola solo leggermente. Anche in questo caso, infatti, ritroviamo il dio che si protende verso la ninfa per afferrarla nella sua fuga lontano da lui e dagli uomini in generale, ma proprio mentre la sta per avere, Apollo si rende conto della sua trasformazione in albero, e sul suo volto riconosciamo un'espressione di stupore e di dolore nello stesso tempo. L'artista ha cercato anche in questo caso di recuperare la forma classica del mito: Apollo è nudo, porta la faretra legata dietro la schiena, ed ha lasciato cadere a terra l'arco per afferrare Dafne; il suo mantello, però, svolazza in modo eccessivo dietro di lui, formando delle pieghe innaturali. Anche Dafne, in questo caso, è completamente nuda, e nella ricerca di una raffigurazione della metamorfosi quanto più vera e naturale possibile, la sua nudità vuole evidenziare il mutare della carne in corteccia, l'evoluzione subita dalla materia, l'irrigidirsi delle membra, e lo spuntare delle fronde alle estremità. Questa scena, fortemente emotiva e carica di quel pathos, che si riteneva proprio dell'arte classica, espresso soprattutto dai volti dei due protagonisti, è stata tuttavia volutamente inserita in un ambiente naturale calmo e tranquillo, come sottolinea la presenza dei due caprioli in secondo piano a sinistra, della barca che sullo sfondo solca leggera il fiume (chiara allusione nello stesso tempo al padre della ninfa, il dio-fiume Peneo), del villaggio ancora più addietro, ed ancora del sole in alto a destra proprio sopra Apollo, che con i suoi raggi, oltre ad essere simbolo del dio, illumina la scena.  La presenza di questo sole dal volto umano è stata anche messa in relazione, da alcuni critici, con un'interpretazione del mito di tipo naturalistico, diffusa soprattutto attraverso l'opera di Leone Ebreo, presente a Venezia nel primo decennio del Cinquecento, che nella sua opera, Dialoghi d'amore, sosteneva che Dafne, poiché figlia di un fiume, stava in realtà a rappresentare la naturale umidità della terra, che il sole, Apollo, vorrebbe attrarre a se ed esaltare in vapori. L'umidità, infatti, proprio come Dafne, fugge il sole, dal quale sarebbe annullata, ma questo riesce a far penetrare l'umidità nei pori della terra, dove si muta con l'aiuto delle acque fluviali in alberi e piante, proprio come Dafne.

                                                                                            Elisa Saviani