24: Apollo e Dafne

 

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Antonio Pollaiolo

Datazione: 1480 circa

Collocazione: Londra, National Gallery, già nella Collezione Coningham

Committenza:

Tipologia: dipinto

Tecnica: tempera su tavola, 29,5x20 cm

Soggetto principale: Dafne e Apollo

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Dafne

Attributi: braccia in forma di rami d'alloro (Dafne); faretra (Apollo)

Contesto: paesaggio campestre con fiume

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Schubring P., Cassoni. Truhen und Truhenbilder der italianen Frührenaissance, Hiersemann, Leipzig 1923, I, p. 297, cat. n. 334;  Berenson B., Italian Pictures of the Reinaissance: Central Italian and North Italian Schools, Phaidon, Londra 1968, I, p. 179; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 247;Ettlinger L.D., Antonio and Piero Pollaiuolo, Phaidon, Oxford 1978, n. 9; Davidson Reid J.-Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 326; Pons N., I Pollaiolo, Cantini, Firenze 1994, p. 104, cat. n. 18

Annotazioni redazionali: L'attribuzione ad Antonio Pollaiolo proposta dal Berenson nel 1896 è stata in seguito unanimemente accolta dai critici, tuttavia, opinioni discordanti sono state avanzate in riferimento alla datazione dell'opera. La Cruttwell (nel 1907, p. 62) la considerò un'opera giovanile dell'artista; altri critici, successivamente, hanno scartato, o talvolta ripreso tale ipotesi, giungendo persino ad una datazione diametralmente opposta, con Sabatini (nel 1944, p. 53) che la datava al 1485. Oggi, la maggior parte dei critici è per lo più concorde nel credere che si tratti di un'opera realizzata nei primi anni ottanta del Quattrocento.Non si conosce l'originaria destinazione del dipinto, secondo lo Schubring si trattava della parte di un mobile, forse di un forziere, nonostante le misure sembrassero troppo piccole anche per il pannello laterale di un cassone. Altri critici hanno parlato di un pannello destinato ad un cabinet e forse inserito in un forziere. Vi è stato, infine, anche chi ha ipotizzato semplicemente che si trattasse di un piccolo dipinto da collezione a soggetto mitologico forse destinato ad uno studiolo. L'artista si è qui mantenuto nell'ambito di quella tradizione figurativa, diffusasi nel corso del Medioevo, in base alla quale il mito antico veniva calato nella realtà contemporanea, facendo indossare agli dei ed agli altri personaggi abiti alla moda, ossia quattrocenteschi. Apollo è biondo, ed oltre a questo, l'unico elemento che lo rende riconoscibile è dato dalla faretra, che in parte si riconosce spuntare alle sue spalle ed in mezzo alle gambe, giacché indossa i classici abiti cortesi maschili. Dafne, invece, non è nuda come nelle antiche raffigurazioni del mito, indossa piuttosto un abito alla moda di velluto verde scuro. Pertanto, eliminata ogni forma di narrazione, l'unico elemento che definisce questa raffigurazione come illustrazione del mito di Apollo e Dafne è l'avvenuta trasformazione delle braccia della figura femminile in frondosi rami d'alloro e della sua gamba sinistra in radice, ed inoltre l'atteggiamento della figura maschile nei suoi confronti. L'artista, infatti, ha rispettato in questo senso l'iconografia più diffusa fin dall'antichità, concentrandosi sul momento in cui Apollo raggiunge finalmente Dafne, anche se proprio quando sta per afferrarla la ninfa ha già iniziato la metamorfosi in alloro. Invece, il ruolo di Cupido, che fa innamorare Apollo della bella fanciulla, e quello del fiume Peneo, padre di Dafne, che concorre alla sua trasformazione in albero, sembra che siano stati tralasciati o, in ogni caso, tenuti in secondo piano, giacché, ad esempio, il fiume sembra esserci, ma è posto sullo sfondo. Innovativa in quest'opera è la stretta unione dei corpi dei due protagonisti, Apollo e Dafne, che sembrano quasi fusi in un tutt'uno: la gamba destra della ninfa sembra avvolgersi attorno a quella del dio ed i due sembrano quasi danzare. A questo naturalismo dei gesti, e alla resa dei corpi con una più precisa definizione muscolare, che rappresentano un portato tipico della pittura del Pollaiolo, si aggiunge una tecnica coloristica particolare, in base alla quale l'alloro è stato come costruito a rilievo, foglia per foglia, con un gioco di volumi che ricorda la maniera di operare dell'orefice, mestiere che l'artista aveva, in effetti, praticato con successo.

 

                                                                                           Elisa Saviani