04: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Anonimo pittore pompeiano del I sec. d.C.

Datazione: 70-79 d.C.

Collocazione: Pompei, Casa d'Apollo e Coronide

Committenza:

Tipologia: pittura murale

Tecnica: tempera

Soggetto principale: Dafne e Apollo          

Soggetto secondario:

Personaggi: Apollo, Dafne

Attributi: lira (Apollo); rametti di alloro sulle spalle e sulla testa (Dafne)

Contesto: campestre (?)

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Helbig W., Wandegemälde der vom Vesuv verschüttelten Städte Campaniens, Leipzig 1868, n. 213; Reinach S., Répertoire de Peintures grecques et romaines, Parigi 1922, p. 26, n. 4; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 76; Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zurigo-Monaco 1986, III, 1, p. 347, cat. n. 33

Annotazioni redazionali: Si tratta di un’altra raffigurazione del mito, in cui manca però la rappresentazione della fuga di Dafne e dell’inseguimento da parte di Apollo: i due protagonisti sono fermi ed i loro abiti non sono gonfiati dal vento. Apollo, a sinistra, è seduto, o meglio semi sdraiato, su di una sorta di piedistallo, e poggia l’avambraccio sinistro sulla lira, senza suonare, mentre il braccio destro è piegato sopra la sua testa, come se fosse del tutto rilassato e privo di pensieri. Dafne è in piedi sulla destra accanto a lui, immobile, come in molte altre pitture dell’epoca, e tuttavia già si notano sopra le sue spalle e sulla testa dei rami di alloro appena germogliati, ad indicare che, pur in questa situazione di staticità generale, la sua trasformazione è in atto, ed Apollo, lì a accanto a lei, non potrà impedirla. Questo tipo di iconografia non narrativa e piuttosto statica, ma, come detto, assai diffusa allora, voleva probabilmente alludere al legame di Dafne ed Apollo, e spiegare in tal modo l’origine dell’alloro, della pianta sacra ad Apollo, senza soffermarsi sulla narrazione del mito.

                                                                                        Elisa Saviani