Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos
in verso vulgar con le sue allegorie in prosa, et historiato,
Venezia, Iacomo da Lecco, 1522, I
De Phebo e Daphne
[f. B]
Phebo che per la morte insuperbito
de Python era, un di per laria erran
trovo Cupido il fanciullino ardito
che con larco, e li stral giva volando
e disse poi chassai chebbe schernito
O garzon folle che vai di pretando
larma che porti par non si confaccia
a la tua eta, ma per le nostre braccia.
A me stan ben tal arme con lequali
vado uccidendo per lincolti boschi
cervi, pardi, veloci orsi, e cinghiali
accio la mia possanza se conoschi
& altri strani, e diversi animali
che sono colmi de rabbiosi toschi
& poco e che con loro arditamente
uccisi il gran Python brutto serpente.
Fuor di misura sadiro Cupido
udendosi da Phebo disprezzare
e con voce arrogante trasse un grido
dicendo biasma te, me non biasmare
e meco a la battaglia te diffido
& fammi il peggio hormai che mi poi fare
che tanto e manco il poter tuo chel mio
quanto e minor ogni animal che dio.
E detto questo con turbata fronte
per dar a Phebo asprissimo martoro
ando volando sul Pernaso monte
accio xortisca effetto il suo lavoro
e due saette le più acute, e pronte
trasse, luna di piombo, e laltra doro
de la pharetra, e ritornossi a volo
dove Phebo sedea pensoso, & solo.
Era in quel tempo una fanciulla ornata
di belta piena, e dogni bon costume
che per nome venia Daphne chiamata
figliuola di Peneo lantico fiume
ne le selve nudrita, e delicata
a lalta diva dal pudico nume
e con quella sequia le fiere ixnelle
vestita stranamente di due pelle.
Il padre suo Peneol havea piu volte
voluta maritar, dicendo a lei
come la richiedean per moglie molte
persone valorose, & semidei
& che perfiere son le selve folte
e gliantri spaventosi, oscuri, e rei
che sua bellezza a la natura amica
non stava ben senza hom casta, & pudica.
Gienero haro se te mariti figlia
così nepoti che di te usciranno
pero ti prego il mio consiglio piglia
ne mi lassar in tanto grave affanno,
non ti far se sei saggia meraviglia
che saggi son chi tor il meglio sanno
cedi a la voglia mia, lassa Diana
e la sua compagnia selvaggia, e strana.
Lei tutta vergogniosa al caro padre
con mansueta voce rispondea
se mi trarai for de le nimphal squadre
presto vedrai mia fin misera, & rea
cosi impetro con parole leggiadre
dal caro gienitor la casta dea
dhabitar con le sue pudiche nimphe
le occulte selve, e grotte, & chiare limphe.
E detto questo da lui si partia
con le chiome disciolte a laria sparte
e ne le selve correndo ne gia
senza alcun nodo di maestrevol arte,
hor di costei chio dico tuttavia
colui che gia piu volte infiammo Marte
con la saetta doro ch’in man prese
lincauto Phebo del suo amor accese.
Daphne con quella di piombo percosse
senza avedersi punto a mezzo il petto
si che affuggirlo tutta la commosse
per esser fatta di contrario effetto
Phebo per gran stupor tutto si scosse
quando vide di Daphne il vago aspetto
e comincio ad amarla caldamente
ma lei di lamor suo curava niente.
[f. Bv.]
E quando la matina si levava
il biondo Apollo con l ardenti raggi
stupido, attento, & fiso la mirava
si che per lochi indomiti, e selvaggi
occultarsi da lui non li giovava
e con moti dicea pietosi, & saggi
quanto bella seria se sadornasse
la vaga ninpha, e che piu in punto andasse.
Poi remirando le sue chiome bionde
che senza ordine alcun scherzando giano
dicea ne le piu belle, & piu gioconde
di lor se acconcie fusser non seriano
O felici sorelle, O liete fronde
godete quel chin van gli dei disiano
& voi rivi correnti, e freschi fonti
che bagnate ibei piedi a fuggir pronti.
Cosi lodava la sua bella bocca
il naso, gli occhi, e la serena faccia
dove ogni gratia par che dal ciel fiocca
la gola, il petto e le mani, e le braccia,
e lun e latro pie chel cor gli toccha
si presti a fuggir lui, si pronti in caccia
considerando va, con le secrete
altre sue membra pretiose, e quiete.
Un dì fra gli altri se dispose al tutto
di voler tanto dietro seguitarla
che ne trahesse di lei qualche frutto
e con gli humil suoi preghi alfin placcarla
cosi per trarne lultimo costrutto
comincio seguitandola a pregarla
dicendo ninpha vaga un poco ascoltami
e a li miei preghi il tuo bel volto voltami.
Per chio non sequo te come nemico
e tu mi fuggi come agniella il lupo
non per amene piaggie & loco aprico
ma per ogni antro, e bosco oscuro, & cupo
gran peccato e fuggir un fido amico
vogliti a me che di dolor mi occupo
non esser si senza pietade, & fede
a fuggir da colui che tutto vede.
E pur se di fuggirmi sei contenta
habbi nel corso tuo di te piu cura
& va con gliocchi aperti, e tanto attenta
che non cascasti per mala ventura
andar ben poi con furia assai piu lenta
che se per mia disgratia, o tua sciagura
qualche spin te pungiessi, o mal havesti
cagion del morir mio certo seresti.
O quanto sciocca sei, O quanto errore
commetti a fuggir me Daphne mia cara
perchio non son se tu nol sai pastore
ma de stirpe di dei sublime, et rara
non son de campi non lavoratore
Delpho e la patria mia sacra & piuccara
nato di Giove son, Phebo son io
e sapiente Apollo, e immortal dio.
Io son quel che la musica trovai
e le virtù di lherbe tuttequante
e ben chio possi molto, e sappi assai
agiutar non mi fo dal tuo sembiante
pero considra tu quanto mal fai
ad essermi superba, & arrogante
ma che mi giova a dir queste parole
se voler si convien quel chamor vuole.
Amor vol che mi fuggi, e chio te segua
c’havendo me dun suo stral dor ferito
e tu di piombo, accio chio mi dilegua
pel tuo di piombo, accio chio mi dilegua
pel tuo piu che divin volto polito
e che da quel non habbi pace, o tregua
ma che mi faccia ogni hor de poggio in lito
chel disprezzo vedendolo garzone.
Mentre che Daphne a piu poter fuggiva
e che anchor Phebo pur la seguitava
la vestimenta Zephiro il apriva
dinanzi si, che le gambe mostrava
e per le spalle la trecia le giva
in modo che damor piu linfiammava
& se delibero con piu desire
lo inamorato Apol Daphne sequire.
[f. B ii]
Ella quando avanzar troppo se vide
da Phebo, e da la sua velocitade
al padre si volto con alte gride
dicendo se parte hai de deitade
o di la figlia tua che forte stride
& vogli haver di lei qualche pietade
& fa che Giove a me soccorso trova
o mi tramuti in qualche forma nova.
A pena hebbe finito il prego lice
che si senti duna tenera scorza
tutta coprir la misera infelice
e la velocita perder, & forza
& ogni piede mutarsi in radice
che maggior fiamma la minor ammorza
il corpo in tronco, & le sue chiome bionde
& le braccia in rami, & quelle in foglie, e in fronde.
Cosi fu tuttaquanta tramutata
la vaga Daphne in un bel verde aloro
pianta felice a Phebo consacrata
degnia de piu alto stil grato, & sonoro
lui come videlei cosi cangiata
labraccio stretta e disse, Ahi mio ristoro
poi chesser donna mia non hai voluto
serai larboro mio da ogniun tenuto.
Voglio che lauro sia tuo vero nome
e per piu gloria al tuo stato giocondo
serai corona a le felici chiome
de vincitori, e de poeti al mondo
honor non duna ma de mille Rome
ne temerai lassalto foribondo
de ifolgori di Giove, ne di gielo
ma sempre ti sera propitio il cielo.
Dapoi che Phebo tal parole disse
larboro tutto quanto si crolloe
e parve chal suo petto consentisse
perche su ver la cima si piegoe
& prima che dal tronco si partisse
una fronzuta rama gli spicoe
e fece una corona, e se lapose
su le lucenti chiome luminose.
Allegoria
Alla presente tramutatione bisogneria assai dechiarationi ma per non attediare gli auditori dirossi sotto brevita lo effetto, Phebo e posto per lo sole el quale uccise con le saette Python serpente nato dallo humore della terra le saette del sole sonno per caldi & acuti raggi liquali consumarno Python che suona in greco corotto humore, impercio che sel caldo del sole non fugasse la superchia humidita della terra, la aria si coromperia per modo che tutto cio che ivi habbiamo seria tanto veneno, e per tanto dice Ovidio che Phebo uccise il serpente il quale corompea di veneno el mondo, apresso dice che Phebo insuperbito mostro alterezza della vittoria havuta, & che disprezzo Cupido per lo portare de larco, in questa parte dovemo notare che la virtu celestiale non po ne deve esser priva di amore senza il quale niuna cosa si puote fare perfetta, onde quando idio formo il sole & le altre cose al bisogno nostro infuse lo amore in esse accio che con effetto operasseno lo offitio loro, el quale amore quando e perfetto e senza vitio e assimigliato a loro brunito per lo piui puro mettallo che sia, dice lo autore che Phebo fu saettato per lo amore di Daphne, e tanto e a dire Daphne in greco quanto virtute, la quale virtu(te) si fa inanzi alli prudenti, non perche voglia da loro separarsi ma perche vole esser da loro sequita, onde dice Christo nello Evangelio adimandate e troverete, picchiati e sarete aperti & cetera. & percio sequitando Phebo Daphne venne allo amore il quale condusse lei a perfetione cioe ad esser arbore di lauro esempre verde come la sientia de la quale lhuomo savio si la pone per sua virtu in capo in vece di corona a dimostrare chello aloro e pieno de sientia. Potemo anchora la presente trasmutatione in altro modo allegoriggiare. Imperuo che Phebo se intende la persona casta & pudica, e Daphne la vera prudentia laquale e seguitata dalla castitade, la qual mutata in arbore se intende chella prudentia se nutrica nel corpo di quello che seguita el lauro e per la virginita, la quale e sempre verde dove mai ne saetta ne fulgore non cade, la ghirlanda di Phebo si pose in capo significa che poi che lhuomo e cognito con la prudentia se incorona di quello honore & sempre sta verde il qual lauro che lo olivo furono li primi arbori che apparessino dapoi lo diluvio nel cospetto delle gienti, li quali dalli antichi philosophi con sacre religioni longissimo tempo furono honorati.