42: Apollo e Dafne

Titolo dell'opera: Apollo e Dafne

Autore: Giovanni Luteri (Dosso Dossi)

Datazione: 1525-1530     

Collocazione: Roma, Galleria Borghese (nella collezione Borghese dal 1659, per lascito testamentario del cardinale Luigi Capponi, che acquistò la tela dagli eredi del cardinale Ludovico Ludovisi; già a Ferrara di proprietà dei fratelli Bentivoglio)

Committenza: duca Alfonso I d’Este (?)

Tipologia: dipinto

Tecnica: olio su tela, 191x116 cm    

Soggetto principale: Apollo suona la lira

Soggetto secondario: metamorfosi di Dafne 

Personaggi: Apollo, Dafne 

Attributi: viola da braccio, corona d’alloro (Apollo); mani in forma di rami d’alloro (Dafne)

Contesto: paesaggio campestre con fiume e città sullo sfondo

Precedenti:

Derivazioni:

Immagini:

Bibliografia: Stechow W., Apollo und Daphne, Studien der Bibliothek Warburg, Leipzig 1932; Della Pergola P., Galleria Borghese: I dipinti, I, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1955, cat. n. 35; Mezzetti A., Il Dosso e Battista ferraresi, Silvana, Milano 1965, cat. n. 153; Gibbons F., Dosso and Battista Dossi: Court Painters at Ferrara, Princeton University Press, Princeton 1968, cat. n. 55; Giraud Y., La fable de Daphné. Essai sur un type de métamorphose végétale dans la littérature et dans les arts jusqu'à la fin du XVII° siècle, Droz, Ginevra 1969, p. 249; Davidson Reid J.-Rohmann C., The Oxford Guide to Classical Mythology in the Arts, 1300-1990, New York-Oxford 1993, I, p. 327; Immagini degli dei: mitologia e collezionismo tra '500 e '600, a cura di Cieri Via C., Leonardo Arte, Milano 1996, pp. 217-218

Annotazioni redazionali: Il dipinto conservato oggi alla Galleria Borghese di Roma, proviene in realtà da Ferrara, e secondo alcuni critici sarebbe stato fatto realizzare, forse dallo stesso duca d’Este, per la Palazzina della Rosa, che Alfonso I aveva costruito per la sua nuova amante Laura Dianti, dopo la morte di Lucrezia Borgia nel 1519; mentre secondo altri si trovava in realtà nel castello di Ferrara. Dopo la morte della Dianti, la palazzina passò nelle mani di Cesare d’Este, che la donò ai fratelli Bentivoglio. Prima di entrare nella collezione Borghese tuttavia, il quadro dovette essere acquistato dal cardinale Ludovico Ludovisi, giacché viene ricordato in un inventario del 1633, e sappiamo inoltre che il Ludovisi possedeva anche altri quadri di provenienza ferrarese, donatigli da Olimpia Aldobrandini. Infine l’opera del Dosso sarebbe passata ai Borghese con il testamento del cardinale Luigi Capponi nel 1659, che doveva averla acquistata dagli eredi del Ludovisi. La maggior parte dei critici è concorde circa l’attribuzione del dipinto al Dosso, mentre differenti sono le opinioni sulla sua datazione: Henriette Mendelsohn nel 1914 lo ritenne del 1517-1520; Peter Dreyer nel 1964 e nel 1965 si è posto quasi sulla stessa linea, ipotizzando una realizzazione dell’opera nel 1520-1522; lo ha seguito in questa datazione Felton Gibbons; mentre il Longhi, nel 1973, confermò una sua precedente ipotesi circa una datazione al 1525-1530; i critici hanno successivamente confermato in larga parte questa datazione alla tarda attività del Dosso, anche se non sono mancati studiosi che hanno ripreso l’ipotesi di una datazione anteriore, come il Freedberg e Alessandro Ballarin. Nonostante gli inventari della Galleria Borghese dal 1693 al 1833 ricordino il dipinto come raffigurante Orfeo, sembra oggi evidente che il soggetto del dipinto è ben diverso: in primo piano è sì un personaggio maschile seminudo, coperto in parte da un drappo verde, seduto, con una viola da braccio appoggiata alla spalla sinistra e con l’archetto sollevato nella mano destra, che ha quindi appena finito di suonare, ma egli ha anche una corona d’alloro sulla testa, tradizionale attributo di Apollo, e soprattutto, sullo sfondo a sinistra, si riconosce una figura femminile che si sta trasformando in albero. Si tratta allora evidentemente non di Orfeo, ma di Apollo, che ha appena terminato di intonare un lamento per la metamorfosi della sua amata Dafne, visibile sullo sfondo. La trasformazione della ninfa sembra seguire l’iconografia tradizionale, secondo cui, mentre è ancora in fuga da Apollo presso la riva di un fiume, che qui si distingue in lontananza, e si volta per verificare quanto egli sia lontano, già le sue braccia assumono la forma di rami e la parte inferiore del corpo si confonde, sembra rivestita di corteccia. Mentre il personaggio di Apollo sembra sia stato realizzato prendendo a modello il Parnaso di Raffaello. Ciò che sorprende, tuttavia, è l’importanza qui conferita alla musica, e ad Apollo come dio dell’armonia. Dopo la trasformazione di Dafne in alloro, raffigurata, quindi, quasi come antefatto sullo sfondo, al dio non rimane che eleggere l’alloro come pianta a lui sacra, facendosene una corona, ed intonare un canto in memoria dell’amata. Questo ruolo di primo piano della musica, e la scelta di uno strumento contemporaneo, anziché della lira classica, vanno probabilmente ricollegati al contesto in cui l’opera fu concepita: un contesto, quello ferrarese, in cui i musicisti erano tenuti in alta considerazione, soprattutto per la passione dei duchi verso quest’arte, passione testimoniata anche dalle numerose rappresentazioni musicali che vi si tenevano, in cui spesso un musicista impersonava Apollo e cantava accompagnato appunto dalla viola.

Elisa Saviani