Titolo dell'opera: Giove e Semele
Autore: Giovanni Bosco
Datazione: 1600 ca.
Collocazione: Parma, Palazzo del Giardino
Committenza:
Tipologia: altorilievi
Tecnica: rilievi a stucco
Soggetto principale: Giove fulmina Semele
Soggetto secondario:
Personaggi: Semele, Giove
Attributi: corona, fulmine (Giove)
Contesto: ambiente interno
Precedenti:
Derivazioni:
Bibliografia: Pedicelli N., Il palazzo del Giardino di Parma , M. Fresching, Parma 1931, 53; Zucchelli D. – Fedocci R., Il Palazzo ducale di Parma, Artegrafica Silva, Parma 1980; Anderson J., The Sala di Agostino Carracci a Palazzo Chigi in Palazzo Giardino a Parma in “The art Bullettin”, vol 52, I (Marzo, 1970), pp. 41-48; Bourdon – Laurent V., Le palais Farnesiane d’apres l’inventaire de 1653, in “Melanges d’archeologie e d’histoire”, Ecole Francaise de Rome, 29, 1909, p. 158; De Grazia D. Lo stile farnesiano. Affreschi nei ducati di Parma e Piacenza, in Studi “I Farnese” arte e collezionismo, Electa, Milano, 1995, pp. 92 -101.
Annotazioni redazionali: i Farnese si segnalano tra i committenti più profilici sulla scena artistica romana nella prima metà del ‘500, per via potere acquisito con la nomina al trono pontificio di papa Paolo III Farnese, nonno del duca Ottavio. In particolare, il cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa e fratello del duca Ottavio, segue i lavori per Palazzo Farnese e Roma (Cfr. scheda opera 53), sovrintende ai progetti e ai lavori della villa di Caprarola e compra per sé la villa Chigi alla Lungara (Cfr. scheda opera 66). Il mecenatismo farnese a Parma e Piacenza iniziò soltanto dopo il 1550 cioè quando Ottavio Farnese succede al padre Pier Luigi, assassinato a Piacenza nel 1547, il quale si era occupato essenzialmente di consolidare il suo potere istituzionale dopo essere diventato duca di Parma e Piacenza. Ottavio rese Parma capitale per sdebitarsi della fedeltà dei cittadini dopo l’assassinio del padre a dopo l’esito positivo della guerra di Parma (1551) che contribuì a risolvere in favore di Ottavio le resistenze imperiali. Il duca potè così dedicarsi al miglioramento della città decidendo di sospendere i lavori del grandioso Palazzo FarnesediPiacenza, Ottavio scelse di costruire il Palazzo del Giardino e rendere Parma sede stabile della sua corte. Il palazzo doveva così rispondere ad esigenze di rappresentanza e la pianificazione architettonica come la decorazione interna delle sale dovevano essere degne del ruolo a cui erano destinate ma lo stile non sarà mai né didattico né promozionale come a Caprarola o a Roma perché a Parma non c’era la necessità di promuovere la famiglia si tratta di significati al contempo rappresentativi e personali, complessi e leggibili. Iniziato da Francesco Testa su progetto del Vignola nel maggio 1561, il palazzo del giardino di Parma venne poi ampliato nel Seicento da Simone Meschino e Gerolamo Rainaldi a cuasa delle nozze tra Ranuccio I e Margherita Aldobrandini. Terminati i lavori, il duca Ottavio, dal 1547 al 1586, fece decorare numerose stanze in cui si palesasse il ruolo del palazzo come luogo dove trascorrere tempo in pace, all’insegna del piacere e della prosperità. In accordo con i precetti del Lomazzo, i temi affrescati per tali luoghi di piacere riguardano “le favole delli amori et delle varie trasformazioni delle Dee et delle Ninfe dov’entrano acque, arbori, et simili cose” (Lomazzo, 1585). Nella Sala di Alcina o dell’Ariostosono affrescate da Girolamo Mirola scene tratte dall’Orlando Furioso. Nella Sala del Bacio o del Boiardo per mano dello stesso autore scene tratte dal III libro dell’Orlando Innamorato del Boiardo. La Sala del Perseo e Sala del Paesaggio, invece, furoro entrambe affrescate dal Languidi. Durante il ducato diRanuccio e cioè dal 1592 al 1622, furono dipinte la Sala del Malossoe la Sala dell’Amore. Infine, in occasione del matrimonio tra Odoardo e Margherità de’ Medici avvenuto l’11 ottobre 1628, vennero realizzate nuove decorazioni tra cui probabilmente la Sala di Erminia. La decorazione a stucco con Semele morente appartiene alla Sala dell’Amore e fa parte di un unico complesso, da leggersi nell’insieme, che si svolge dalle pareti al soffitto. Assieme a Semele, ai quattro angoli della sala, altri amori di Giove: Leda e il cigno, Il ratto d’Europa, Danae e la pioggia d’oro. Secondo la critica l’autore di questi stucchi poteva essere o Luca Reti (Zucchelli-Fedocci, 1980) o Giovanni Bosco (De Grazia, 1995) ma sembra molto convincente la testimonianza della Anderson (1970) che riporta un documento ritrovato dal Pecelli nell’archivio Farnese che accordava dei pagamenti a Giovanni Bosco tra l’Aprile e il Dicembre del 1600 per i lavori a stucco di due stanze: una nota come la sala di Agostino Carracci, appunto la Sala dell’Amore, l’altra nella Galleria. Non è tanto per la credibilità di una testimonianza sull’altra che questa tesi risulta convincente, quanto per la vicinanza cronologica della realizzazione degli stucchi con gli affreschi, che restituiscono il senso di unità del programma decorativo. La decorazione della volta della sala fu commissionata da Ranuccio I, probabilmente in occasione delle sue nozze con Margherita Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII, gli affreschi delle pareti, invece, furono commissionati da Ranuccio II tra il 1678 e il 1680 ed eseguiti da Carlo Cignani. A Giovanni Bosco, secondo la critica che assegna il lavoro a Luca Reti, erano ascrivibili solamente i partimenti con putti, cavalli marini, conchiglie, fasce panneggiate che inquadrano i quattro riquadri dipinti da Agostino Carracci in cui sono raffigurati Tre amorini nel giardino di Venere, Teti e Peleo, Teti tenta di sfuggire a Peleo, Nozze di Teti e Peleo come Marte e Venere. Il quinto riquadro, rimasto incompiuto per la morte di Carracci avvenuta a Parma il 23 febbraio 1602, fu volutamente lasciato libero per essere occupato in seguito dall’epitaffio in onore del pittore Agostino scritto da Claudio Achillini. L’intervento di Agostino nella volta della sala dell’Amore conformava lo stile parmigiano a quello farnese romano. Il soffitto fu diviso in settori per ospitare ordinatamente episodi separati della storia del matrimonio di Peleo e Teti. Gli affreschi alle paretisulle pareti maggiori sono raffigurati: Il ratto di Europa, Il trionfo d’Amore, Le nozze tra Bacco e Arianna;nei settori ai lati della finestra sono raffigurati: Apollo e Dafne, La lotta tra Amore e Pan. Altri due dipinti con Amore bendato con l’aquila e Amore bendato con la face, oggi alla Galleria Nazionale, erano probabilmente collocati nelle sovrapporte, ora occupate da una versione più tarda forse di G.B. Borghesi che lavorò al ripristino della stanza tra il 1833 e il 1834. Una prima interpretazione del programma decorativo fu fornita dal Bellori che credette di vedere nei dipinti di Agostino, che per di più non aveva visto direttamente e di cui non riuscì a identificare chiaramente i soggetti, la celebrazione delle tre forme di amore neoplatonico: amore virtuoso (Gli amorini), amore lascivo (Marte e Venere in realtà Nozze di Peleo e Teti) e amore redditizio o venale (Galatea mostra agli Argonauti la rotta in realtà Peleo e Teti). La lettura fornita da Anderson parte da una nuovo interpretazione dei due amori centrali, identificati come Tre amorini nel giardino di Venere sulla base del passo di Claudiano che descrive un paesaggio simile (Epithalamium for the marriage of Honorius and Maria, X, 69-77). La favola che Bellori confonde con Galatea, come anticipato, riguarda Peleo e Teti e il momento in cui Teti è visibile solamente agli occhi di Peleo e non agli altri Argonauti (Apollonio Rodio, Argonautica, IV, 851-864) ma che la studiosa ritiene meglio riferibile al 64 carme di Catullo sempre dedicato al matrimonio di Peleo e Teti (vv.19-21). Ancora l’altro è Teti che aiuta Peleo a evadere dal carcere e l’ultimo Pelo e Teti che si sposano in veste di Marte e Venere. Dunque tutti i riquadri sembrerebberoespliciti richiami all’amore e al matrimonio, tutti temi legati all’arrivo della nuova sposa, Margherita Aldobrandini. I cupidi rappresentano la preparazione per il matrimonio dell’arco e delle frecce nel giardino di Venere. Dunque Omnia vincit Amor:l’amore rappresentato dai cupidi, vince su tutto, sulla natura, sugli uomini, sugli dei.Inoltre, Alessandro Farnese, padre di Ranuccio, aveva ricevuto il toson d’oro da parte del re di Spagna per i suoi servigi in Olanda e Ranuccio voleva raggiungerlo, per questo scelse di riconoscersi in Peleo come esempio di grande navigatore. A questo intenso programma, legato alla situazione politica Farnese ma anche al matrimonio in corso, non si possono non collegare i quattro stucchi con gli Amori di Giove, sempre molto diffusi nelle decorazioni palatine. Se bisogna accettare l’ipotesi che vuole Bosco come autore dell’intera serie di stucchi, bisognerà prendere come dato di fatto che questi fossero ultimati addirittura prima degli affreschi. Considerato il documento del Pedicelli, il pagamento sarebbe stato effettuato entro il 1600. Secondo la Anderson gli Amori di Giove sarebbero dunque “self-evident exempla of love’s universal power” ma in maniera più specifica rappresenterebbero i quattro elementi empedoclei su cui l’amore domina: Semele è il fuoco, Leda l’acqua, Danae l’aria ed Europa la terra. Semele è distesa sul letto, il braccio cade verso il basso in segno della morte che sopraggiunge. L’iconografia è quella che appartiene alla classicità, che la vuole o sorretta dalla ancelle dopo essere stata colpita o aver partorito (Cfr. scheda opera 15 e 25). Le tende del baldacchino confermano l’ambientazione domestica della scena. Giove sopraggiunge da destra con in mano la folgore e in testa la corona. Sebbene l’avvicinamento tra Semele e l’elemento igneo possa sembrare ovvio, le altre protagoniste degli amori sono rappresentative degli elementi solo in modo obliqui. Europa è una personificazione della terra fin dall’antichtà, Leda sulle rive di Eurota è l’elemento simbolico dell’acqua, Danae è l’aria perché ha obbligato Zeus a diventare pioggia d’oro per raggiungerla: una prova dell’amore che domina anche nell’aria (Anderson, 1970, p. 45 e ss). L’immediato precedente in cui questi miti compaiono insieme a rappresentare i quattro elementi è nei carri trionfali dell’Hypnerotomachia Polifili dove tutte appartengono al regno della Venere Genitrix di Lucrezio (Cfr. scheda opera 39). La Sala fu completata per volere di Ranuccio IIda Carlo Cignani nella seconda metà del Seicento.
Francesca Pagliaro