12: Meleagro

Titolo dell’opera: Meleagro

Autore: anonimo

Datazione: 150 ca.

Collocazione: Roma, Musei Vaticani, Sala degli animali

Committenza:

Tipologia: statua in marmo bianco

Tecnica: scultura

Soggetto principale: Meleagro

Soggetto secondario:

Personaggi: Meleagro

Attributi: testa del cinghiale calidonio (Meleagro);

Contesto: paesaggio boschivo

Precedenti: statua di Meleagro di Skopas del IV sec. a.C.

Immagini:

Bibliografia: Arias P. E., Skopas, L’Erma di Bretschneider, Roma 1952, pp. 127-131; Hanfmann G. M. A.- Pedley J. G., The statue of Meleager, in Antike Plastik, Verlag Gebr. Mann, Berlin 1964, pp. 62-63; Lattimore S., Meleager: new replicas, old problems, Opuscula Romana, vol. IX, edit Institutum Romanum regni Sveciae, Stockolm 1973, pp. 157-166; Stewart A. F., Skopas of Paros, Moyes press, New Jersey 1977, pp. 104-110, 142-144, 170-173; Stewart A. F., Lysippan studies I, II e III in “American journal of Archaeology”, ed The journal of the Archaeological institute of America 1978, n. 3 e 4 , pp. 414-416; Stewart A. F., Greek sculpture. An exploration, Yale University press 1990, vol. I p. 185, vol. II p. 549; Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zurigo-Monaco 1992, vol. VI, 1, sub voce “Meleager”, p. 415; Nicgoroski A. M., An Encyclopedia of the History of classical Archaeology, Greenwood press, Westport, Connecticut 1996, sub voce “Meleager”, p. 743; Charbonneaux J.- Martin R.- Villard F., La Grecia classica, BUR, Milano 2001, pp. 224-226; Guida dell’Italia, Roma, Toring Club Italiano, Milano 2004, pp. 661-663; Haskell-Penny (aggiungere bibliografia);

Annotazioni redazionali: La statua è una replica di età antonina di una delle pochissime opere che, attribuite a Skopas (IV sec. a.C.),  non sono però attestate dalla tradizione letteraria. Fa parte di una serie di numerose riproduzioni che permettono di ricostruire nelle linee essenziali l’originale perduto, probabilmente in bronzo. Il numero delle repliche dimostra sia l’importanza e l’ammirazione per l’opera dello scultore greco, sia l’interesse per il mito di Meleagro, molto conosciuto ed apprezzato in epoca romana, a seguito delle Metamorfosi di Ovidio. Questa è la più completa fra le copie ritrovate. Alta 2.10 m., è stata restaurata nella parte inferiore del naso e nella mano destra dell’eroe, nell’aggiunta del mantello, mancante nell’originale, e in alcuni particolari della testa del cinghiale e delle orecchie del cane. La statua, documentata in particolare come tale nel 1555, fu ricavata da un marmo pario di color avorio, che presenta un colore bruno-giallastro, non sempre apprezzato nei secoli successivi. L’attribuzione, per alcuni periodi incerta, fra Skopas e Lisippo, o gli scolari di questo, in particolare Euticrate, tende ora ad attribuire, da parte dei critici, l’opera originale al primo. Meleagro è raffigurato in piedi con il peso sulla gamba destra, la mano appoggiata sull’anca destra, nudo, con la clamide allacciata al collo e drappeggiata sul braccio sinistro, che risulta mutilo, e che probabilmente teneva nella mano la lancia per la caccia. Tale tipologia appare frequentemente nelle immagini di Meleagro in piedi, come quelle che si trovano ad esempio anche nei sarcofagi e nelle gemme, talvolta con la variante delle gambe incrociate. Il viso, girato verso sinistra, rappresenta l’eroe con uno sguardo pensoso e malinconico, ad accentuare non la gioia del trionfo e dell’amore, ma la triste sensazione delle conseguenze foriere di morte. Ai suoi piedi il cane, con la testa levata verso di lui, rappresenta l’elemento amico, che lo ha aiutato nella caccia. Alla sua sinistra, su un cippo, è posta la testa irsuta del cinghiale, simbolo della ferinità vinta, che si contrappone alla bellezza armoniosa di Meleagro e dello stesso cane. Tutto il gruppo dimostra un equilibrio armonioso in cui la figura umana sembra accostarsi al cane, in cui trova collaborazione, comprensione ed affetto, mentre sembra sovrastare, in posizione da vincitore, la testa bruta del cinghiale. Per quanto riguarda il luogo del ritrovamento, le prime fonti riportano notizie incerte, per alcune l’Esquilino per altre il Gianicolo. La statua è poi documentata nel 1546 in casa di Francesco Fusconi da Norcia, medico dei papi Adriano VI, Paolo III e Giulio III, che, nel 1523-24, acquistò un palazzo nella zona in cui poi verrà costruito anche Palazzo Farnese. Alla sua morte, avvenuta nel 1553, il palazzo, e con esso le collezioni, fu ereditato dal nipote Adriano, vescovo di Aquino e alla morte di questi, nel 1579, senza eredi maschi, le proprietà andarono in possesso di Marzia Fusconi, che sposò un membro della famiglia Pighini. Già nel 1546 questa statua veniva descritta come una delle più belle in Roma “non escluse quelle del Belvedere”; infatti, lo stesso proprietario dichiarò che essa era una delle più belle del mondo intero, tanto da essere valutata al prezzo del Laocoonte. Circa tre anni dopo Anton Francesco Doni, scrivendo ad un amico delle cose che più valeva la pena di vedere a Roma, scelse il Giudizio universale di Michelangelo, le Stanze di Raffaello, alcune altre opere moderne e sette statue antiche – il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, il Torso, il Marco Aurelio, lo Spinario, l’Antinoo e la statua che chiamò Meleagro. Molti altri scrittori del XVI e XVII secolo lo descrivevano come un Adone, poiché la presenza del cinghiale poteva riferirsi ad ambedue i personaggi. Solo nel XVIII secolo si concordò che la figura si riferisse a Meleagro, in quanto del cinghiale è rappresentata la sola testa mozzata, mentre l’eroe greco è nel pieno della sua bellezza e del suo fulgore. La statua era molto ammirata e, anche al tempo di Richardson, nel  XVIII sec., era inserita tra le sette più famose statue antiche al mondo, insieme con altre come l’Apollo, il Laocoonte el’Antinoo. Era tanto apprezzata che si trovavano frequentemente incisioni relative ad essa in molti testi, copie in marmo e statuette in bronzo. Nel XVII sec. corse voce che fosse in vendita, malgrado un vincolo che lo impediva,  e si fecero congetture sul modo in cui  il Papa avrebbe reagito se fosse entrata in possesso di un collezionista straniero. Ci furono ripetuti tentativi di acquisto, anche a somme molto elevate: da parte di Lord Arundel nel 1636, collezionista inglese, del Cardinal Chigi nel 1664, apparentemente per il re di Francia, ma in realtà per la sua collezione, e forse anche del Bernini per il re Luigi XIV. Tutto ciò giustifica l’affermazione di Maffei che nel 1704 dichiarava che essa era nota in tutta l’Europa. Alla fine il Meleagro risultò essere una delle prime acquisizioni di Clemente XIV nel 1770, dapprima per i Musei Capitolini, dove rimase fino al 1792, quando fu collocato nel museo Pio-Clementino, e precisamente nella Sala degli Animali, per la presenza nell’opera del cane e della testa del cinghiale. Quando vi fu portato venne descritto come un miracolo dell’arte greca. Il famoso archeologo Ennio Quirino Visconti (fine XVIII sec) dichiarò che il Meleagro era adatto a confrontarsi con le più belle statue del cortile del Belvedere.  Ma in realtà la vicinanza con altri capolavori portò ad un lento ma percettibile declino della fama della statua: nel XVIII e XIX secolo si cominciò a criticare la mancanza di “rifinitura”. Anche Winckelmann notò che l’opera non corrispondeva ai suoi concetti di arte classica e disse, a ragione, che sembrava una copia successiva. Tuttavia, nonostante tali critiche, la notevole completezza dell’opera continuava a suscitare entusiasmo, tanto che si diceva che lo stesso Michelangelo, ai suoi tempi, era stato contrario, o non era riuscito, ad aggiungere la mano sinistra andata perduta, non attuando quindi il restauro. Nel 1797, per il Trattato di Tolentino, il Meleagro fu ceduto ai Francesi e raggiunse Parigi nel luglio del 1798. Esposto nel Museo Centrale delle Arti per l’inaugurazione del 1800, fu rimosso nel 1815, quando tornò a Roma, a seguito dell’intervento di Canova, nella prima consegna di statue del gennaio 1816. Fu poi definitivamente collocata in Vaticano alla fine di maggio, in una sala che prese il suo nome. Il Meleagro, infine, alla fine del XIX sec. viene  catalogato da Helbig, come una statua romana del primo periodo antonino, copia di una figura ellenistica della metà del IV sec a.C., nella quale sarebbero stati aggiunti il cane e la testa del cinghiale, opinione tuttora confermata dai critici.

Giulia Masone