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GIOVANNI ANDREA DELL’ANGUILLARA, delle Metamorfosi d’Ovidio ridotte in ottava rima, libro ottavo, p. 134

 

Si sdegna più d’ogni altro il sommo Giove

Contra il figliuolo, in tal caso non saggio,

E parla irato à Venere, e la move

A’ vendicar il cielo di tanto oltraggio.

Venere co’l figliuol subito dove

Stà la moglie del Re prende il viaggio.

Ch’ambo cerca macchiar di doppio scorno,

Perch’odia anchor lo Dio ch’apporta’l giorno.

 

Non solla bella Dea port’odio al Sole,

Perche scoprì le sue Veneree voglie,

Ma cerca, quanti son di quella prole,

Gravar di nove infamie, e nove doglie.

Colei, che di bellezze uniche, e sole

Fu al Re di Creta giù data per moglie,

La qual Pasife fu detta per nome,

Nacque del chiaro Dio da l’auree chiome.

 

Venere adunque andò contra costei,

Per darle fra le infami il primo vanto.

E perche il Re de gli huomini Dittei

Dovendo fare il sacrificio santo,

Tolse quel Toro à sempiterni Dei,

C’havea più altero il cor, più bello il manto,

Gli volse far vedere, ch’era stat’empio,

E ch’era mè per lui di darlo al tempio.

 

Mentre nel toro altero i lumi intende

Pasife, che fe uscir di terra il cielo,

Fa Citherea, che l’arco il figlio tende,

E poi scoccar contra la donna il telo.

Del toro allhor la misera s’accende,

E loda l’occhio, il volto, il corno, e’l pelo.

Già con occhio lascivo il guarda, e l’ama,

E di goder di lui discorre, e brama.

 

Quando s’avede al fin, che’l proprio ingegno

Non sa dar luogo al troppo strano affetto,

Confida con un fabro il suo disegno,

Che in corte havea d’altissimo intelletto.

Compose in breve una vacca di legno

Quel si raro huom, che Dedalo fù detto,

Che da se si movea, da se muggiva,

E parea à tutti naturale, e viva.

 

Ordina poi l’artefice, che v’entre

L’innamorata, e misera Regina.

Mossa ella dall’amor l’ingombra il ventre.

E’l fabro al toro incauto l’avicina.

Già il bue la guarda, e si commove, e mentre

Il legno intorno à lui mugghia, e camina,

A l’amoroso affetto il bue s’accende,

E gravida di se Pasife rende.

 

Quel mostro nacque poi di questo amore,

C’hor rende cosi mesto il Re di Creta.

Perche scopre il suo obbrobrio, e’l suo disnore,

Ne può l’infamia più tener secreta.

Se non punisce lei di tanto errore,

Degna cagion gliel dissuade, e vieta,

Ne vuol di tanta infamia punir lei,

Per non sdegnar di nuovo i sommi Dei.